Codice Genesi: recensione del film con Denzel Washington
Codice Genesi è un film post-apocalittico del 2010, firmato da Albert e Allen Hughes. Nel cast ci sono Denzel Washington e Gary Oldman.
Codice Genesi si apre in un anno imprecisato nel futuro: un errante di nome Eli (Denzel Washington) ha una missione da portare a termine: condividere le parole contenute nell’unica Bibbia esistente al mondo con persone degne di essere “toccate” dall’intervento divino. In uno scenario completamente alla deriva, con paesaggi spogli, deserti e senza una possibilità di ripresa in quanto a vita e vegetazione, ci si imbatterà in una piccola comunità di sopravvissuti, guidati da Carnegie (Gary Oldman). Egli vuole possedere con ogni mezzo a sua disposizione il libro per dominare sui deboli e gli indifesi, e rimarcare la sua posizione di leader. Le premesse sono ideali per scatenare una guerra di sangue, proiettili e scontri fisici senza tregua.
La storia procede impostando una marcia piuttosto bassa. Ci si aspetta da un prodotto simile il delirio post-apocalittico al cardiopalma che possa ricordare i fasti della saga di Mad Max, o anche il più recente Fury Road del 2015, ma si va optando per una trama incentrata sulla fede, e sul cammino da percorrere per tenere alta la bandiera della speranza tramite l’intervento della provvidenza. Una soluzione che può risultare efficace per alcuni, disorientante per altri, con impennate di sapore action a completare il percorso impervio di Eli. L’aspetto che più spicca all’interno di Codice Genesi è il “world building”: un ambientazione tetra, tendente al grigio, che arranca per ottenere acqua, cibo e abbigliamenti. Non vi è traccia di figure chiave per la salvezza dell’umanità che rimane, si procede per inerzia in uno scenario perduto e desolato.
In Codice Genesi Denzel Washington è in forma smagliante, come al solito
La faccia giusta per imprimere con forza una personalità su schermo: egli è Denzel Washington. In qualsiasi pellicola dove figura come protagonista assoluto, è sempre pronto a lasciare il segno con una performance di qualità. Nel caso di Codice Genesi, il personaggio di Eli potrebbe apparire senza un background definito al dettaglio, con brevi accenni a un passato disastroso e all’apocalisse che ha spazzato via gran parte degli esseri viventi, ma si è deciso di sviluppare attorno a lui una caratterizzazione che vive di piccoli gesti, di espressioni indovinate, di sospiri e silenzi. Un viandante che è in cerca sia di redenzione per i peccati e le violenze che ha commesso, che di una casa che possa essere definita tale.
Nessuna compagnia, nessun aiuto esterno. Solo l’intervento di una ragazza tenuta prigioniera da Carnegie, Solara (interpretata da Mila Kunis), può risvegliarlo dalla sua condizione di eterno solitario. Una coppia che non sempre è incisiva, ma è funzionale al contesto rappresentato. Serve una guida per condurre gli schiavi dell’apocalisse in una nuova “fonte di luce”: Solara è la candidata perfetta per smuovere le coscienze dei dormienti e delle persone investite da un”oscurità che non li ha mai abbandonati. Washington lavora su di uno script essenziale a cura di Gary Whitta per regalarci una prova più che dignitosa, che rafforzi il comparto tecnico e scenografico a sua completa disposizione.
In Codice Genesi il villain di Gary Oldman è acerbo e scritto male
Lo stesso discorso riservato a Washington non lo si può applicare su Gary Oldman, abile interprete in grado di essere folle all’occorrenza. In Codice Genesi invece la sceneggiatura fa fatica a valorizzarlo, anzi viene reso su schermo un personaggio spento, senza una spinta emotiva che lo contraddistingua. Si riduce a essere un tiranno che impone uno status quo tendente alla dittatura suprema. Ottenendo la Bibbia e sfruttando le parole che vi contengono al suo interno, lui può tenere un pugno il gruppo di uomini trasformati in animali e ricondizionarli, rieducarli.
Le intenzioni non bastano a dipingere un villain che dovrebbe presentarsi caratteristico, scaltro e dotato di un’intelligenza sopra la media. L’attore britannico si lascia trasportare da uno script blando, che si ripete con battute riciclate ed esclamazioni telefonate. Il pubblico ha ben compreso che vuole impossessarsi della Bibbia, non serve rimarcarlo ogni volta che Carnegie si confronta con Eli o i suoi sottoposti. Il difetto della ripetizione e di comportamenti messi in scena prevedibili rischiano seriamente di compromettere la struttura filmica della pellicola dei fratelli Hughes.
Codice Genesi è visivamente abbacinante
Per quanto riguarda il linguaggio, la cura riposta nella resa visiva, i movimenti di cinepresa e l’atmosfera in generale, si respira aria di cambiamento. Ci si allontana dal puro spettacolo e dall’effetto speciale ricercato, preferendo un approccio crudo, che non lascia scampo all’estetica patinata e ultra-saturata. Albert e Allen Hughes, dopo otto anni da La Vera storia di Jack lo Squartatore, ritornano in scena con un genere del tutto differente. Il risultato è degno di nota, con una regia sinuosa, fresca e in grado di tenere testa all’imponente carisma di Washington.
La colorazione gioca un ruolo fondamentale in Codice Genesi: vi è una palette selezionata con attenzione, che proviene da un’apocalisse di devastante potenza. Come viene raccontato nel film dal protagonista Eli, il Sole ha oltrepassato la nostra atmosfera radendo al suolo intere popolazioni. Di conseguenza lo scenario si incupisce, si rimane intrappolati in una limitata gamma di colori, le gradazioni di grigio e marrone imperversano durante le riprese. Non vi sarà modo di scorgere un accenno di sfumatura chiara che richiami un colore primario, solo una vasta desolazione comunicata con veemenza dai cineasti navigati. Un mondo che può essere affrontato solo da coloro che riescono a caricarsi di un fardello quasi impossibile da trasportare. Si riferiscono all’unica vera fonte di sostentamento per una possibilità di salvezza: il testo sacro, la Bibbia.