Corn Island: recensione
In sala dal 20 agosto 2015 Corn Island di George Ovashvili distribuita da Cineama. Il film, selezionato tra i dieci titoli per il Miglior film straniero agli Oscar 2014, lascia la parola a favore dell’immagine. Protagonista è la Natura, selvaggia e comandante. Ambientato sul fiume Inguri, che segna il confine tra la Georgia e la Repubblica di Abkhazia.
Corn Island è una storia genuina, reale. Mostra un vecchio contadino con la sua nipotina adolescente intenti a sopravvivere all’inverno. Il letto del fiume Inguri “ospita” isole itineranti che si forma o disfano con il passare delle stagioni, ma ottime per la coltivazione e quindi straordinaria risorsa per gli abitanti della zona. Su un’isoletta si avventurano e stabiliscono i due protagonisti, “conquistando” così la terra di nessuno. Ma i capricci della natura non aiutano…
Un uomo vicino al tramonto della vita, una bambina nel suo passaggio all’età adulta e una casa fatta di soli assi di legno. Sembra di essere in un’epoca lontana, quasi arcaica in cui per vivere sono necessari la semina della terra e la pesca. Tutta fila liscio fin quando Madre Natura cambia idea. Suggestiva è infatti la sequenza in cui piogge torrenziali in poche ore distruggono e portano via tutto ciò che è stato creato dall’uomo, mentre nonno e nipote tentano inutilmente di salvare il raccolto. E puf… L’isoletta itinerante scompare davanti i loro occhi.
La natura, il silenzio e la guerra. Nonno e nipote coltivano la terra e resistono alla vita, ma intanto i paesi confinanti non cessano di scontrarsi per il dominio di quella “terra di nessuno”.
George Ovashvili racconta la vita tra gioie e dolore, tra “miracoli” e momenti di smarrimento. Il fiume ne è simbolo: dalla nascita alla morte, dall’inizio alla fine. Il ciclo inevitabile di ogni vita. Il film è un insolito dramma psicologico che mostra un’esperienza comune ma in un luogo poco conosciuto, e a livello tecnico dimostra come lo scambio di battute non è necessario a suscitare forti emozioni o pensieri nello spettatore. Ovashvili basa tutto sulla magia dell’immagine, del cinema. Lascia la “parola” all’incantevole location del film e fa centro, spiegando in modo in peccabile il suo “senso della vita”.
Corn Island è un film elegante, rumoroso ma lontano dai ritmi frenetici delle città. Il regista si sofferma sulla gestualità quotidiana del contadino. A parlare sono i volti dei pochi personaggi, le loro espressioni e i loro silenzi. Quasi come in Re della terra selvaggia (2012, regia di Benh Zeitlin) in cui Hushpuppy, una bimba di sei anni, vive assieme al padre in una comunità remota nelle paludi del profondo sud della Louisiana, meglio conosciuta come “la grande vasca” a causa delle continue alluvioni e cicloni. Anche qui come in Corn Island giocano un ruolo importante il destino dell’uomo, la resistenza a volte troppo feroce della Natura e la ciclicità della vita.