Corro da te: recensione del film di Riccardo Milani
Pensate alla bugia più spudorata che avete raccontato per sedurre qualcuno. Questa è peggio. Corro da te, regia di Riccardo Milani, con Pierfrancesco Favino e Miriam Leone, parla d'amore, di sincerità, di disabilità. In sala dal 17 marzo 2022.
Riccardo Milani è il regista di Come un gatto in tangenziale. Il suo nuovo film si chiama Corro da te, è una commedia romantica con Pierfrancesco Favino e Miriam Leone che parla (scorrettamente) d’amore e di diversità. Uscirà nelle sale italiane il 17 marzo 2022, una produzione Wildside e Vision Distribution con la collaborazione di Sky e Prime Video. Il cast al completo prevede anche Pietro Sermonti, Vanessa Scalera, Pilar Fogliati, Andrea Pennacchi, Carlo De Ruggieri, Giulio Base, Michele Placido e Piera Degli Esposti.
Corro da te parte da un assunto semplice semplice. Siccome sedurre è una faticaccia, che sia a casa o a lavoro, in amore o in amicizia, quando si tratta di centrare l’obiettivo tutti mentono. Sempre. Fortunatamente, il 99% della popolazione mondiale ha sufficienti freni inibitori e sa quando è il momento di fermarsi. O magari gli manca quel tanto di immaginazione, anche questa è una possibilità. Fatto sta che quasi nessuno sceglie di ricorrere a una balla indecorosa come quella pensata da Gianni (Piefrancesco Favino) per conquistare il cuore di Chiara (Miriam Leone). Un uomo discutibile, chi lo nega. Nel suo rigurgito politicamente scorretto e nei suoi inciampi mediocri è comunque impossibile non riconoscere, portato all’estremo, qualcosa che appartiene a ciascuno di noi.
Il film è il remake della commedia francese del 2018 Tutti in piedi, scritta, diretta e interpretata da Frank Dubosc.
Corro da te: la storia di un uomo che mente sempre che incontra una donna che non mente mai
La storia di un uomo che mente sempre che incontra una donna che non mente mai. Gianni (Pierfrancesco Favino) ha quasi cinquant’anni ma è meglio non ricordarglielo, è l’insopportabile proprietario di un brand di scarpe da running, corre la maratona e ha un’identità fluida. Fluida, ma non nel senso che intendete voi. Sguscia felino tra una relazione occasionale e l’altra, minimizzando le conseguenze spiacevoli (per lui) grazie a un eclettismo interpretativo e a una capacità di mimetizzazione rigidissimi. Oltre a una totale mancanza di scrupoli. I guai cominciano in famiglia. Pessimo gemello di Carlo De Ruggieri, il papà Michele Placido è un po’ sullo sfondo, con la morte della madre, che Gianni ha sempre amato da lontano anche se fa finta di no, le cose iniziano a cambiare.
Proprio a casa della madre, giocherellando con la sedia a rotelle della donna, Gianni conosce la bella vicina Pilar Fogliati, che prende fischi per fiaschi e pensa che l’uomo sia veramente disabile. Gianni non risolve l’equivoco, fiuta un’occasione, ma fa male i conti. La ragazza, in realtà, a lui non ci pensa proprio, è troppo vecchio, ma decide comunque di dargli una possibilità e lo invita a casa dei suoi. E qui gli presenta, nel più classico degli appuntamenti al buio, ma forse anche no, la sorella Chiara (Miriam Leone). Bellissima, luminosa, tennista implacabile, pregevole violinista, una vera forza della natura. Disabile, tra le altre cose, lei però sul serio. Gianni prima è conquistato, poi respinto, poi attratto dalla sfida. Principi morali astenersi.
Corro da te sguazza felice nel pantano scorrettissimo delle azioni e dei pensieri del suo protagonista maschile. Con evidente soddisfazione di un Pierfrancesco Favino che mette alla prova un solido istinto umoristico e una verve eclettica, per sostenere l’improbabile missione di questo antieroe dei sentimenti. Fingersi disabili per conquistare una donna disabile non è solo un pessimo affare, è anche una premessa narrativa non troppo realistica. Il film, i suoi protagonisti, ce la mettono tutta per ancorare emotivamente la storia a un livello di verità soddisfacente. A bilanciare i toni spregiudicati di Gianni, che comunque, si capirà, ha i suoi bei vuoti emotivi nell’infanzia che spiegano tutto o quasi, gli altri. Dall’amico Pietro Sermonti, che fa da grillo parlante immaginate con quali risultati, all’instancabile segretaria Vanessa Scalera, monumento allo stoicismo triste. C’è pure la grande Piera Degli Esposti, nonna meravigliosamente intimidatoria.
Corro da te: non è difficile capire chi sia il vero disabile, spiega il film
Riccardo Milani scrive Corro da te con Giulia Calenda e Furio Andreotti appoggiandosi all’impalcatura già rodata dell’originale francese, sia per quanto riguarda l’umore generale, parecchio scorretto, sia per quanto riguarda l’interessante intervento sul canone della commedia romantica. Ragazzo incontra ragazza, che però a lui non ci pensa proprio e quindi gli presenta sua sorella. La dinamica è vicina al reale, alla vita vera, ma anche originale e birichina sul piano della struttura. Questo ripensamento dei principi del genere dona al film, almeno nella prima parte, un’impressione di freschezza.
Tocca a Miriam Leone portare sulle spalle il discorso che Corro da te imbastisce, molto intelligentemente di lato, senza manifestini o programmi ideologici di sorta, sulla disabilità. Lo fa con dignità e dolcezza, tenendo a mente che la carica positiva del suo personaggio non deve limitarsi a smorzare i cinici eccessi di Gianni. Ma anche restituire una dimensione della vita in tutto ciò che di vivo, bello, brutto, simpatico, antipatico, le è proprio. Corro da te sposta l’onere della prova sull’occhio di chi guarda. L’altro e il normale sono solo due modi di percorrere un terreno comune, la condizione umana. Amare signfica riscoprire una vicinanza intima nascosta dietro la coltre di sopravvalutate differenze esteriori. La morale della favola è abbastanza lineare. Nella sua miopia, nel suo cinismo, nei suoi biechi stratagemmi, l’unico disabile in questa storia è proprio Gianni.
Scorretti si può pure esserlo, ma solo fino a un certo punto, giusto? Peccato che dopo un inizio promettente Corro da te, che pure non cerca e non trova santini, ceda un po’ il passo alla tirannia della morale edificante, alla possibilità (e alla necessità) di una redenzione provvidenziale. Che il protagonista sperimenti, toccato intimamente dalla forza di un sentimento autentico, la possibilità di guardarsi dal di fuori e tracciare un impietoso bilancio, è nelle cose. Che da qui possa partire un programma di rinnovamento esistenziale, anche. La velocità e a tratti l’incongruità con cui questo processo si mette in scena davanti allo spettatore non convince fino in fondo.