Creature di Dio: recensione del dramma gotico di Saela Davis e Anna Rose Holmer
Creature di Dio, l'horror dell'anima minimalista e laconico di Saela Davis e Anna Rose Holmer è al cinema a partire da giovedì 4 maggio, distribuzione a cura di Academy Two.
Presentato in anteprima alla Quinzaine des Réalisateurs del Festival di Cannes il 19 maggio 2022, Creature di Dio, esordio al lungometraggio di Saela Davis e seconda esperienza alla regia di Anna Rose Holmer mantiene le promesse largamente fatte nell’ormai lontano maggio del 2019, quando le maggiori testate internazionali cominciano a discutere su di un possibile thriller gotico prodotto dalla Fodhla Cronin O’Reilly di Lady Macbeth e Ammonite, senza però aggiungere alcun dettaglio di trama o lavorazione. Niente di falso perciò, Creature di Dio è in uscita e pur risultando un film estremamente austero, gelido, complesso e respingente, rispetta le attese confermando appieno il discorso sul gotico. Ecco perché.
Emily Watson e Le onde del destino
Laddove Lars Von Trier nel 1996 faceva a pezzi l’integrità psico-fisica dello spettatore permettendogli di osservare il lungo cammino di passione, disperazione e poi sacrificio della Bess McNeill di Emily Watson costretta a subire ingiustizie della vita, dolori e violenze di ogni sorta nel corso delle tre estenuanti ore – o poco meno – di durata del suo celebre Le onde del destino ambientato quasi interamente in un remoto villaggio delle Isole Scozzesi costantemente preda di alte maree e violente bufere, il duo Davis-Holmer compie un’operazione decisamente più dolce, minimale e dolorosamente emotiva, che se allontana la Watson dalla condizione di vittima, ce la mette tutta pur di porre lo spettatore di fronte alla domanda: che cosa può e non può renderla carnefice?
Ancora una volta un’isola, ancora una volta quella tipica ricerca cinematografica focalizzata sugli effetti e le conseguenze di una socialità – e popolazione, seppur sparuta – assolutamente alienata, silenziosa, perciò gelida, conflittuale e discriminatoria che vivendo di una quotidianità inevitabilmente immutata e immutabile non prevedendo mai significativi cambiamenti risulta radicalmente differente nel momento in cui qualcosa accade, che si tratti dell’arrivo di un estraneo, piuttosto che del diffondersi d’un semplice sospetto, o ancor peggio, di un dubbio.
La monotonia dell’isola irlandese nella quale vivono Aileen (Emily Watson) e un altro centinaio di pescatori e pescatrici viene infatti spezzata non appena Brian (Paul Mescal), il figlio di Aileen fuggito molti anni prima da quella stessa isola per fare fortuna in Australia, decide di tornare a casa. Nessuno sa dove sia stato, nessuno più lo ha visto o raggiunto là dove la fortuna sembrava attenderlo, per poi risultare assolutamente inesistente, così anche sua madre Aileen che nel frattempo si è presa cura dell’allevamento familiare di ostriche, del marito Con (Declan Conlon) e del suocero ridotto in stato vegetativo, Paddy (Lalor Roddy).
L’isola avvolta nella nebbia e incessantemente cupa e piovosa subisce come se non bastasse un’alta marea piuttosto frequente, tanto da causare la morte di un numero sempre maggiore di pescatori. Quelli sono corpi che non tornano e che la gente del posto si ritrova costretta a piangere, pur non potendoli vedere mai più. Creature di Dio riflette dunque sul fantasmatico, sull’assenza, sul peso di ciò che un tempo è stato su quell’isola e che ora non è più, ecco spiegata la matrice gotica di questo racconto cinematografico che prende a piene mani da Shelley, Henry James, Joyce e Walpole, pur sfruttando soltanto sotterraneamente quei topos e quelle tracce narrative, preferendo un’analisi intimista e ferocemente introspettiva sul legame che inevitabilmente unisce una madre ad un figlio, nelle sue accezioni di morbosità, menzogna, difesa e timore più totali.
Se infatti il ritorno a casa di Brian, uno dei pochissimi figli dell’isola partito improvvisamente senza lasciare alcuna traccia poteva bastare a caricare le atmosfere del film di un mistero cupo, angosciante e d’indubbio interesse, qualcosa di ancor più scottante, scandaloso, tragico e imprevisto accade nel momento in cui Sarah (Aisling Franciosi), una giovane collega di Aileen, ne denuncia il figlio accusandolo di violenza sessuale e scontrandosi perciò con una questione di ordine familiare – e sociale – già particolarmente complessa, fragile e ambigua. Emily Watson, a distanza di ventisette anni torna ad essere travolta dalle onde del destino interpretando una donna schiacciata tanto dal senso del dovere, quanto da un materno istinto di protezione, talvolta necessario e talvolta cieco di fronte alla nuda e cruda verità.
Dramma sociale e thriller dell’anima, sui luoghi del perdono e della perdizione
Creature di Dio muta ben presto in un dramma sociale dagli echi lontanamente Bergmaniani muovendosi qua e là tra il thriller più serrato, seppur giocato quasi unicamente sui silenzi e sugli sguardi e la ricerca introspettiva cupissima e in più di un momento carica di un’inquietudine spietata e spiazzante tipica di certo cinema horror recente e non è casuale infatti che a produrre e distribuire il film del duo Davis-Holmer ci sia propria la A24, sempre più legata ad una riconoscibilissima matrice, estetica ed autorialità cinematografica horror dal notevolissimo peso, tanto da aver portato alla ribalta moltissimi celebri autori tra i quali Lowery, Aster, Eggers, Mitchell, Bertino e West.
Sui padri e sui figli, così come sulle madri e ancora una volta sui loro figli. Una doppia riflessione che scorrendo parallelamente e incessantemente non può che convergere in un unico punto, quello della difesa cieca, ingenua e molto spesso dannosa della propria famiglia, a scapito di una verità che se messa in luce può rivelarsi in grado di spezzare irrimediabilmente interi scenari, equilibri e rapporti giungendo alla distruzione e alla fine facendo sì che i luoghi considerati in un primo momento del perdono, diventino poco dopo della perdizione.
Brian si perde, e così anche Aileen. Chi racconta la verità? Chi invece non può far altro che rivelare la propria natura senza più nascondersi agli occhi della gente, incurante del giudizio e della considerazione altrui?
Davis e Holmer focalizzandosi su ciò che i sensi di colpa sono in grado di produrre nella psicologia di individui semplici ma dalla moralità disperata e perciò di ferro realizzano un film incredibilmente tensivo, cupo e profondo sul male celato nell’anima che se osservato e scovato realmente può essere arrestato, perfino all’interno della famiglia, là dove inevitabilmente tutto ha avuto inizio.
La scelta del titolo se non altro dovrebbe indicare fin dal primo momento il grande dubbio che sconvolge e turba gli animi dei protagonisti del film: siamo figli di Dio, oppure del male?
Creature di Dio: conclusione e valutazione
Il film del duo Davis-Holmer forte di una fotografia cupissima, gelida e metafora di un’oscurità morale talmente profonda da impedire la visione della luce e della limpidezza di fronte agli accadimenti della vita immerge tanto gli spettatori, quanto gli interpreti del film – brillano su tutti Mescal e Watson – in una voragine di non detti, menzogne, silenzi e sensi di colpa che anziché non trovare mai una fine, ne evidenziano un’unica possibile nelle conseguenze pressoché annunciate scaturite dalla disperazione di una madre, quelle perciò definitive, tragiche e incancellabili.
Creature di Dio è in definitiva un maturo ed essenziale horror dell’anima che trova nel minimalismo di forma e nel gioco angosciato e silenzioso di inquadrature dagli sguardi onnipresenti e dagli incontrollati e temibili mari in tempesta il miglior modo per affrontare i turbamenti e le violenze che perpetrate in condizioni di abbandono, fin troppo spesso svaniscono, senza alcuna pena, lasciando indietro soltanto l’ombra del dubbio e il trauma destinato a restare, perseguitare e infine uccidere.
Distribuito da Academy Two, Creature di Dio è al cinema a partire da giovedì 4 maggio 2023.