Venezia 74 – Cuba and the Cameraman: recensione del film Netflix
Raccogliendo 50 anni di viaggi a Cuba Jon Alpert racconta un popolo non totalmente comprensibile agli estranei.
Fra le tante piccole pepite cinematografiche passate alla 74ª Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia, merita sicuramente una menzione Cuba and the Cameraman, documentario di Jon Alpert che sarà prossimamente distribuito da Netflix in tutti i paesi in cui il servizio è attivo. Attingendo da più di mille ore di riprese e interviste, il regista due volte candidato all’Oscar dipinge un ritratto intenso e malinconico degli ultimi decenni della storia di Cuba, da lui visitata diverse volte a partire dal 1972 fino alla morte di Fidel Castro nel novembre del 2016.
Jon Alpert è abile a intrecciare il racconto della storia degli ultimi 50 anni di Cuba con le esperienze personali da lui vissute sul posto, sviscerando le emozioni, la cultura, lo stile di vita e i profondi cambiamenti attraversati nel periodo. Il regista sceglie un approccio intimo e diretto, creando così fin da subito un solido legame con lo spettatore, anche su temi particolarmente complessi e controversi come la dittatura di Fidel Castro, l’embargo imposto a Cuba e l’Esodo di Mariel, durante il quale più di 100.000 cittadini cubani sbarcarono in Florida.
Cuba and the Cameraman: 50 anni di storia cubana attraverso i viaggi e le esperienze di Jon Alpert
Il regista lavora su più livelli, lasciando che a raccontare la storia siano i suoi frequenti incontri con Fidel Castro, capaci di dare vita a qualcosa di molto vicino all’amicizia, e soprattutto i suoi rapporti sporadici nel tempo, ma legati da un unico e spesso filo conduttore fatto di rispetto e umanità, con alcune persone locali, come i tre fratelli contadini Angel, Cristobal e Gregorio, la dolce Caridad, conosciuta da bambina e poi nelle varie fasi della sua vita, fino alla maternità, e infine Luis, il suo accompagnatore nei meandri più cupi e oscuri della società cubana. Frammenti di vita, pensieri e sensazioni, che messi insieme tracciano un percorso che parte dalla speranza e dall’utopia della rivoluzione cubana, passano per i momenti più tesi e concitati del rapporto con gli Stati Uniti e si concludono con la lenta ma inesorabile disillusione e gli inevitabili primi passi di apertura verso l’Occidente.
Cuba and the Cameraman sfrutta l’implacabile scorrere del tempo e gli incontri con gli stessi personaggi a distanza di anni per raccontare con le emozioni e con i fatti i mutamenti e la trasformazione di Cuba, riuscendo però a mantenere costantemente un punto di vista equilibrato ed equidistante. Fra le testimonianze dei pesanti disagi economici e sociali, acuitisi dopo il crollo dell’URSS e la conseguente cessazione delle sovvenzioni sovietiche, filtra infatti tutto l’indomito spirito e il perenne ottimismo del popolo cubano, capace di superare tutte le problematiche e vivere la propria modesta e difficile esistenza con un livello di soddisfazione generale sconosciuto a gran parte degli abitanti dei paesi più sviluppati.
Cuba and the Cameraman: l’affresco di una nazione totalmente comprensibile solo a chi ci vive
Particolarmente intensa e coinvolgente anche la rappresentazione del Líder Máximo Fidel Castro, del quale vengono messi in luce sia le scelte oppressive e le tecniche di propaganda, sia un lato umano sconosciuto ai più, favorito dal naturale feeling instauratosi con il regista Jon Alpert. L’ultimo struggente incontro fra i due, avvenuto poco prima del decesso di Castro, rompe così ogni barriera politica e ideologica, diventando il toccante commiato fra due persone a cui la lontananza geografica e sociale non ha impedito di sviluppare rispetto reciproco, confidenza e una forma molto particolare di amicizia.
Nel racconto del particolare, del quotidiano e del privato, Cuba and the Cameraman riesce a disegnare l’affresco di un popolo non totalmente comprensibile agli estranei, e a rivelare l’essenza di una nazione, fatta di contraddizioni, limitazioni e di un percorso storico e politico che di fatto l’ha portata a isolarsi dal resto del mondo civilizzato, ma anche di una naturale positività e fiducia nel prossimo che la rendono un affascinante e pressoché unico esempio di civiltà.