Da 5 Bloods – Come fratelli: recensione del film Netflix di Spike Lee
La recensione di Da 5 Bloods – Come fratelli, il film Netflix scritto e diretto da Spike Lee, che ci mostra la guerra del Vietnam attraverso gli occhi degli afroamericani, tra discriminazioni del passato e del presente
Spike Lee ritorna con un film quasi profetico per il tempismo con cui debutta su Netflix. Da 5 Bloods – Come fratelli è un nuovo tassello del suo percorso atto a rappresentare la storia e le lotte della comunità afroamericana, un’opera che raccontando il Vietnam ci porta all’interno della questione razziale negli Stati Uniti d’oggi. Scritto tra il 2013 e il 2018, sembra però un prodotto della realtà contemporanea, che si sposa pienamente con quanto sta accadendo nell’attuale rinascita del movimento Black Lives Matter, addirittura citato nelle scene conclusive della pellicola. Il film è aperto e chiuso, in un cerchio ideale, dai discorsi di Mohammed AIì e Martin Luther King – mostrati con reali immagini di repertorio – che simboleggiano l’orgoglio nero unito alla contrarietà verso la guerra in Vietnam. Due figure che incarnano la lotta per i diritti civili e sigillano la poetica di Lee, il quale si dimostra ulteriormente un regista di un cinema che concentra al suo interno rappresentazione identitaria, denuncia sociale e impegno politico.
Da 5 Bloods – Come fratelli attraverso la guerra del Vietnam ci parla della comunità afroamericana e del rapporto di questa con il proprio Paese
La storia racconta di quattro veterani afroamericani che tornano in Vietnam per recuperare i resti del loro compagno e mentore caduto in guerra e per cercare un tesoro composto da numerosi lingotti d’oro. Quest’ultimo doveva essere utilizzato come risarcimento per i vietnamiti avversi ai vietcong durante la battaglia, ma i quattro soldati superstiti lo hanno sepolto e poi perduto nella giungla, decisi ad impossessarsene come indennizzo ideale per i soprusi subiti dai neri negli Usa. Il racconto si divide su due linee temporali: il presente, dove gli ex commilitoni, messi a dura prova sia mentalmente sia fisicamente dai segni della guerra, tornano in Vietnam trovando una terra ancora profondamente lacerata e diffidente, e gli anni del conflitto – composti da numerosi flashback – dove emerge tutto l’orrore della battaglia. Paul, David, Otis e Eddie sono costretti ad affrontare il loro difficile passato e a confrontarsi con esso, incarnando un affresco della comunità nera lungo la storia americana, con Paul che diviene in primis l’emblema del sacrificio di un’intera comunità e la rappresentazione delle conseguenze belliche su di essa.
ll film di Spike Lee fa riflettere sulla condizione doppiamente drammatica degli afroamericani negli Usa durante la guerra del Vietnam
Il rischio iniziale di trovarsi di fronte all’ennesimo war movie sul Vietnam è spazzato via nel giro di pochi minuti di visione. Il regista usa la guerra americana per costruire un discorso politico – e Lee è rinomatamente un regista che parla di politica – attorno alla condizione della comunità afroamericana, il tema a lui più caro. Il rapporto dei soldati di colore con il conflitto armato – dove sono stati coinvolti proporzionalmente in una percentuale di molto maggiore a quella dei bianchi – e quello con il proprio Paese, sono al centro della disamina delineata all’interno del film. Un lavoro di grande attualità che con forza ci trasporta in una vicenda lacerante e drammatica, trattata con originalità e freschezza da parte di Lee, abile nel gestire una lunghezza di oltre due ore e mezza senza affaticare mai la visione. Ciò che sorprende nell’impostazione di Da 5 Bloods è la capacità d’essere al tempo stesso intimo e universale, creando un’introspezione nei drammi dei singoli personaggi e al contempo riuscendo a definire una riflessione e un j’accuse sulla discriminazione razziale e la guerra imperialista. Il messaggio intrinseco è chiaro, punta il dito verso una doppia tragedia vissuta dai neri statunitensi, discriminati in patria e contemporaneamente mandati a morire in nome di un Paese che non li tutela. Un rapporto complicato che si perpetua anche ai giorni nostri – la cronaca come già evidenziato sta a testimoniarlo – e che emerge in maniera tagliente.
Da 5 Bloods – Come fratelli unisce la qualità del contenuto a quella della forma
L’atto di denuncia viene però fatto evitando di ricorrere a schematizzazioni banali o agiografie edulcorate della comunità afroamericana. I protagonisti infatti sono costruiti nella loro complessità e nelle loro contraddizioni, dando credibilità a delle figure realmente umane, delle quali si possono percepire in maniera netta lacerazioni interiori, tentazioni, errori e desideri di riscatto. Attraverso questi uomini ci viene detto eloquentemente che le battaglie di un tempo sono ancora le battagli dell’oggi, sia per quanto riguarda i diritti delle persone di colore, sia per quanto riguarda la lotta alle tentazioni guerrafondaie di una certa politica. A sostenere il messaggio è poi una componente formale sorprendente, fatta di virtuosismi registici e di un comparto visivo pensato perfettamente per la funzionalità della trasmissione contenutistica, a partire dal mix di riprese cinematografiche e di repertorio, passando per immagini costruite con un’estetica vintage o moderna a seconda del tempo rappresentato, per finire con la scelta di distinguere passato e presente con diversi formati video che passano dal 1,33:1 al 2,39:1 con alcune incursioni nell’1,85:1.
Spike Lee realizza un film impreziosito da un ottimo cast dove svetta Delroy Lindo
Lee decide di giocare in equilibrio tra iper-realismo e surrealismo metaforico, scegliendo di far interpretare agli stessi attori i personaggi nelle due distanti linee temporali, unendo così una forte carica descrittiva all’effetto straniante per il quale la memoria riporta l’io del presente all’interno del passato, dicendoci come certi traumi non riescono a passare e ci accompagnano per tutta la vita. Le storie di questi uomini, lanciati nell’oblio della guerra per un Paese a cui non importava quasi nulla di loro, sono sorrette da un cast particolarmente convincente, dove ognuno dei protagonisti riesce a dare una dimensione notevole al suo personaggio.
A svettare poi tra tutti è Delroy Lindo, nei panni di Paul, un veterano segnato da una sindrome post-traumatica fortissima, che ha sfogato le sue sofferenze in un odio verso gli altri emarginati divenendo un sostenitori di Trump, e che nel Vietnam odierno trova la resa dei conti col suo mai riconciliato passato. Lindo è sublime e incarna perfettamente l’essenza di Da 5 Bloods, impreziosendo ulteriormente un film già di per sé ispirato. La sua intensa interpretazione raggiunge il culmine nel feroce e straziante monologo che anticipa la parte finale, rivolto con lo sguardo in camera direttamente verso il pubblico, a cui ne segue un secondo che aggiunge ulteriore carica e pathos alla vicenda umana narrata.
Da 5 Bloods – Come fratelli è un notevole esempio di cinema politico che sa unire intrattenimento e profondità del contenuto
Spike Lee gioca coi generi, mescolando il dramma che sta alla base della vicenda con momenti ironici, azione adrenalinica e scenari bellici conditi da passaggi in cui la violenza si fa particolarmente marcata. Il tutto è unito nella decostruzione della mitologia della guerra in Vietnam e nella riflessione sull’identità afroamericana e la sua condizione all’interno della cornice statunitense. Un lavoro brillante che assume un’importanza sociopolitica – ancor più nell’attuale periodo storico – mostrandosi inoltre come un grande prodotto d’intrattenimento, dove si intersecano ottimamente passione cinematografica e civile. Un’opera strutturata e diretta al tempo stesso, esemplificativa della potenza della settima arte, nella quale diversi stili visivi vanno a comporre una storia viscerale, segnata da una complessa costruzione di sentimenti e messaggi significativi. Da 5 Bloods sa dunque parlare contemporaneamente alla mente e al cuore, con una rappresentazione della guerra che diviene anche metafora della guerra quotidiana di chi combatte per la propria dignità e la propria condizione, portando una grande lezione di cinema, fatta di profondità, umanità e testimonianza politica.