Dadapolis: recensione del documentario di Carlo Luglio e Fabio Gargano
Un ritratto inedito di Napoli. Luglio e Gargano non ne fanno un santino, non si perdono tra le sue vie e la sua gente. Preferiscono i margini, il porto, il mare e gli artisti. Forse è da lì che nasce l’amore, forse è da lì che nasce l’istinto della fuga e poi di ritorno. Presentato a Venezia 81 e in sala dal 2 al 4 dicembre
“A volte bisogna staccare. Non andar mai via non è il massimo”. Tra le diverse e riflessioni, chiacchiere e confessioni, che gli artisti raccolti da Luglio e Gargano, autori di questo curioso documentario, affidano tanto a loro stessi, quanto a noi, colpisce maggiormente quello del dubbio, rispetto alla questione della fuga. Necessaria, salvifica e infine tramite per l’accoglimento del ritorno. “Napoli è un posto di emigranti”, lo ripetono continuamente i volti e le voci di Dadapolis, che ispirandosi liberamente alla materia letteraria di Ramondino e Müller, riscoprono nell’arte, un sentimento recondito, che ha a che fare tanto con l’amore e il concetto d’appartenenza, quanto con la difficoltà e il significato profondo, sociale e talvolta politico della paura.
In sala per soli tre giorni, dal 2 dicembre 2024, dopo essere stato presentato in anteprima nazionale alle Giornate degli Autori di Venezia 81, Dadapolis di Carlo Luglio e Fabio Gargano, distribuito da Europictures, ci racconta Napoli con sguardo atipico e inedito, capace di cogliere bellezza e magia dell’inafferrabile oggetto del desiderio e dell’amore, che di fatto è, per raccontarne poi le ombre, la conflittualità e l’abbandono.
Napoli dal porto. Il mare, la fuga e il ricordo
Moltissimo cinema recente si è interrogato sulla mitologia, la bellezza e l’inevitabile componente simbolica e misterica di Napoli, fotografandola però esclusivamente come indelebile, patinata e sensazionale immagine da copertina, o meglio, cartolina. È il caso ad esempio di Napoli Velata di Ferzan Özpetek, Napoli Magica di Marco D’Amore e Posso entrare? An Ode To Naples di Trudie Styler. A differenza di questi autori, Carlo Luglio e Fabio Gargano, raggruppando un ensemble di artisti musicali e non solo, pur raccontando la medesima città e così tutti quei concetti e suggestioni che già conosciamo, almeno parzialmente, rintracciano nel farlo una via atipica e mai battuta, quella dei suoi margini e del ricordo.
Per questa ragione Dadapolis mai si perde tra le vie del centro e così i santini di Napoli. “Quanti santi tiene questa città” dirà qualcuno, nascondendo in una risata un concetto, che nel cinema abbiamo sempre osservato in chiave registica e narrativa, tutto sommato superficiale e sensazionalista. Preferendo a tutto questo, una dimensione periferica, portuale e marginale, che osserva Napoli a distanza, raccogliendola però nella sua totalità, attraverso uno sguardo e una cura profondissima, che il mare genera e affida a pochi individui, poiché: “Il mare cambia dentro, seda, dà pace. Il mare è il mare, è vita, è Dio”. Dio inevitabilmente sceglie di non mostrarsi a chiunque voglia osservarlo, così da credere definitivamente. Presentandosi piuttosto a chi vacilla, a chi accetta il dubbio e l’esistenza di un altrove, capace di ricondurre lì, all’origine di tutto, a quel luogo.
Luglio e Gargano interrogano i loro artisti e poi si prestano all’ascolto, che non è mai interrotto, piuttosto affidato ad un’idea di libertà e di respiro che come il mare, non può far altro che continuare a muoversi, ondeggiare, placarsi e poi riprendersi ancora, producendo sensazioni sempre nuove e varie. Artisti che uno dopo l’altro, confessano il loro profondo sentimento di appartenenza, raccontandoci poi molto della paura e della necessità della fuga: “A Napoli si vive nella paura. Ma è un luogo dell’anima” e ancora “Napoli è madre. Mamma tienimi con te, mamma non ti dimenticare”. Cui ben presto segue: “A volte bisogna staccare. A volte, ritornare indietro non può far altro che bene, tanto al cuore, quanto all’anima”.
Dadapolis: valutazione e conclusione
Napoli non è un santino, piuttosto è un grande amore. A volte, anche quelli più belli, profondi, apparentemente inscalfibili, perciò inspiegabili, possono condurci alla fuga, alla volontà di non percepirli più nostri, creando distanza tra noi e loro. Ma le tracce dell’amore non svaniscono all’avvenuta fuga, si radicano in profondità, legandoci ancora e per sempre. Lasciar andare per poi ritrovarsi. Lo riassume più che bene Lino Musella in Dadapolis, raccontandoci la città in relazione al fenomeno d’emigrazione e al suo non essere più stato cittadino, poiché in movimento tra Milano e Torino. A volte, per apprezzarla e amarla ancora, è necessario fuggire e dimenticarla, anche solo per un po’.
Sono molte le riflessioni e le anime che Luglio e Gargano hanno abilmente intercettato. Estremamente complesso dunque racchiuderle tutte in un’unica percezione sensoriale. Ci troviamo di fronte ad un caleidoscopio inarrestabile, estremamente vivido e vitale e talvolta cupo e malinconico. Sull’importanza del ricordo, della nostalgia e della fuga.