Roma FF17 – Dario Fo, l’ultimo Mistero buffo: recensione del documentario di Gianluca Rame
Il teatro politico di Dario Fo e Franca Rame vive (e disturba) nel mondo. La nostra recensione ammirata di un documentario che trova un perfetto equilibrio tra potenza emotiva e precisione nel (ri)tratto.
Alla XVII edizione della Festa del cinema di Roma è stato presentato un documentario toccante e incisivo sulle figure di Dario Fo e Franca Rame che ricolloca l’esperienza del loro teatro politico nel posto che è giusto che occupi: tra le drammaturgie d’Europa che hanno rappresentato, per il mondo intero, un paradigma, sostenuto da forma e contenuti, di sovversione ai giochi feroci e agli inganni perpetui del potere.
Dario Fo e Franca Rame: una vita consacrata al mistero buffo (e necessario) del teatro non solo intrattenitivo, ma politico nel senso più alto del termine
Ci sono uno scrittore che ama la lingua funambolica, colta ma anche insofferente ai codici standardizzanti, alla sintassi ordinata e all’igiene stilistica, e con le parole costruisce castelli. Con lui, vive e lavora un’attrice che quei castelli di parole, affascinanti ma talvolta caotici, li rimette in ordine. Sono un uomo e una donna di teatro, prima ancora che di scrittoio; entrambi odiano la morale borghese, una concezione elitista della cultura, l’idea di una letteratura accomodante che serva virtuosisticamente un talento gratuito e non la riedificazione – azzardiamo: la rieducazione – dell’intera società. Questo scrittore e quest’attrice, quest’uomo e questa donna si chiamavano Dario Fo e Franca Rame: un documentario, scritto e diretto dal nipote Gianluca Rame, ridisegna la loro fisionomia e restituisce loro, spesso maltrattati o sminuiti da chi non si è preso mai la briga di seguirli e di studiarli, la giusta statura.
Sono stati infatti spesso dipinti dai media più approssimativi quali partigiani di una certa fazione politica: Franca Rame, nel marzo del 1973, pagò l’identificazione con il partito comunista, di cui incarnava, nei caldissimi anni Settanta, i valori agli occhi degli squadristi neofascisti, con uno stupro di gruppo – vero e proprio “atto di guerra“, come lo definisce Dacia Maraini –, subìto per più ore e rivendicato quale gesto politico, prima ancora che come bruta sopraffazione e come violazione ‘terroristica’ del corpo e dell’intimità di una donna. Quando, nel 1997, Dario Fo vinse il premio Nobel per la letteratura – ma, come sottolinea una studiosa, non è il riconoscimento ad aver favorito la diffusione della sua opera nel mondo, bensì il contrario –, tanti storsero il naso; alcuni addirittura – fa fede una patetica prima pagina di giornale, non citeremo quale – osarono dire che il premio andava al “clown della Sinistra“.
Eppure, quel “clown della Sinistra” è stato soprattutto il creatore di un teatro in grado di ritornare alle sue radici popolari, medievali prima ancora che rinascimentali, per riconfigurare in modo originalissimo i termini del patto tra la sacralità propria della performance drammatica – comica o tragica che sia, di per sé un rito – e l’impegno laico di ‘smutandare’ re e reietti e, così facendo, svegliare le coscienze, riconoscere che, come suggerisce il titolo di una delle sue pièce più celebri, le morti degli anarchici del mondo spesso sono accidentali solo nelle narrazioni riparative e assolutorie dei potenti e di chi li serve e li compiace.
Il “mistero buffo” è proprio questo: un teatro che non intende superare o svilire la mistica miracolosa della sua sorgente antica, catartica e religiosa, bensì potenziarla nella profanazione, nell’estensione di quella primordiale solennità attraverso l’annullamento delle distanze dal popolo, attraverso il superamento delle gabbie borghesi che pretendono di dividere la cultura in alto e in basso, infine, attraverso la rivelazione – non più religiosa, ma laica – del vero volto del potere, delle bugie e delle iconografie che lo occultano consentendone la perpetuazione.
Dalla Turchia all’Argentina: il teatro di Dario Fo e Franca Rame vive e scuote le coscienze
Emblematico del valore della produzione drammaturgica della coppia Fo-Rame è l’eco di cui gode nel mondo. Il documentario di Gianluca Rame, oltre a ricordare l’ultima messa in scena romana di Mistero buffo, quando Fo, malato ai polmoni, sapeva già che sarebbe morto nel giro di poche settimane, segue due tentativi di allestimento: quello di Morte accidentale di un anarchico da parte di una compagnia di Buenos Aires, che rilegge l’opera alla luce di un truce atto di cronaca ai danni di un giovanissimo ricotero (Walter Bulacio, assassinato dalla polizia nel 1991, all’età di diciassette anni), e quello della commedia, forse meno nota in Italia, Clacson Trombette e Pernacchie da parte di una compagnia di Istanbul determinata a presentare il riadattamento in lingua curda e per questo ostacolata dal governo del ‘sultano’ Erdogan.
Nei due Paesi, l’Argentina e la Turchia, sono in atto rispettivamente “una serie di politiche che criminalizzano la povertà” e una “soppressione distillata dei diritti umani e persino animali“. È proprio in questi Paesi, come in tante altre regioni del mondo in cui la democrazia vacilla, che il teatro di Dario Fo rivela il suo carattere universale. Il film si chiude, non a caso, con il testamento artistico dell’autore, forse compreso più altrove che in patria.
Il teatro è divertimento, follia, poesia, fantasticheria incredibile, stupore meraviglioso. Ma, se non parlate del vostro tempo, se non scoprite le carte e i giochi fasulli, orrendi, del potere… be’, buttate via una vita. Avrete successo, andrete sui giornali che parleranno bene di voi perché non rompete i coglioni, soprattutto. Ma, sul piano del personale, del rapporto con la gente, con tutti quelli che soffrono ingiustizie, indegnità, violenza ogni giorno, voi non siete nessuno.
La sua attualità – pensiamo soltanto all’ultima dei tanti ‘anarchici’ in società non democratiche o lesive dei diritti, quella Mahsa Amini la cui morte, per mano della polizia morale iraniana, è stata rubricata come dipendente da “cause naturali” – ci folgora e ci commuove. Con buona pace dei detrattori dalla parte dello status quo, il teatro di Dario Fo e Franca Rame è vivo e vegeto. E convoca con urgenza i dissidenti del mondo intero ad adattarne il dettato. Ancora e ancora e ancora.