Dark Night: recensione del film di Tim Sutton
Con Dark Night Tim Sutton descrive una società in cui le persone sono isolate, non c'è comunicazione e il virtuale ha sostituito la vita vera
Vite comuni, vite diverse di concittadini: i ragazzi che escono in skateboard, le ragazze che vogliono aderire ai modelli estetici, chi è genitore, chi non ha genitori. Una carrellata di volti, frammenti di esistenze che viene da chiedersi: che ruolo hanno in Dark Night?
Tim Sutton non vuole semplicemente raccontare la giornata precedente al Massacro di Aurora in occasione della prima cinematografica di The Dark Knight Rises, il suo obiettivo è quello di far chiedere al pubblico: chi è l’autore della strage? Ispirato al tragico avvenimento del 2012, quando James Eagan Holmes ha sparato 76 colpi nella sala cinematografico del Colorado, Dark Night presenta sei personaggi che andranno a vedere il film.
Dark Night: un film sulla strage di Aurora
Il regista, attraverso questa narrazione frammentata, porta in luce l’aberrazione dell’episodio: l’assenza di movente. Così il killer potrebbe essere chiunque, dal vicino di casa, al ragazzo problematico, al padre di famiglia. Questa operazione però mette anche in luce un meccanismo mentale di pregiudizi ed etichette sociali. Lo spettatore comincia a sospettare di uno o dell’altro in base a degli atteggiamenti che ritiene socialmente negativi, insoliti, anticonformisti.
La comunità di Aurora (Colorado) appare problematica, il regista mette in luce volutamente situazioni ambigue, malcontenti, sguardi persi di persone che tutto sommato sono esattamente come noi. La cosa più interessante di questo ritratto sociale è come le persone sembrano isolate, sembrano tutti colpevoli perché li giudichiamo in superficie e tra di loro non parlano di quello che sentono. Il film è un racconto visivo che riduce all’osso i dialoghi: evidenziando l’incomunicabilità. Riecheggia in questo silenzio la musica malinconica di Maica Armata che traduce la tristezza di chi si sente un perdente, di chi si sente inadeguato, di chi è alla ricerca di un posto migliore.
Dark Night: un racconto visivo che riduce all’osso i dialoghi
Solo un ragazzo, Aaron (Aaron Purvis), parla, intervistato con la madre e le sue parole tracciano questo distacco tra l’apparenza e l’essenza. Potrebbe essere il maggiore sospettato perché non ha amici, se non uno virtuale (conosciuto in un gioco di ruolo), non ha un padre e sembra isolato. Eppure la sua vita non è differente da quella di altri adolescenti che devono scontrarsi con le regole sociali che emarginano le diversità, marchiandole.
Questo film investiga le relazioni sociali in cui avvengono le tragedie più che denunciare l’atto in sé. Infatti la strage resta marginale, accade negli ultimi istanti e non viene neanche mostrata. Si concentra sulla comunità e su come il mondo virtuale interferisca falsificando i rapporti. Una ragazza che passa le sue giornate ad allenarsi per farsi selfie e riprendersi, un ragazzo che trascorre i suoi pomeriggi a giocare ai videogames di guerra con dei giocatori che non ha mai visto. Oppure una ragazza cicciottella che segue la sua amica ma che non si relaziona con il gruppo, quasi invisibile.
Appare una generazione che esiste solo su un piano virtuale, fuori dall’hic et nunc.
Se l’intenzione del regista è molto forte e profonda a livello intellettuale, bisogna anche dire che Dark Night ha delle debolezze sul piano cinematografico. L’assenza di dialoghi e di una narrazione rallentano incredibilmente il film rendendolo faticoso da seguire. Le storie dei sei personaggi prendono uno spazio equivalente e il montaggio ne risulta privo di ritmo. Questo loop di ripetizione strutturale allenta la tensione del sospetto. Inoltre sapendo già che la strage avverrà nel cinema tutto ciò che ci insospettisce nel mezzo non nutre la paura, piuttosto la trascina in modo estenuante.
Tim Sutton ha portato in luce, in modo originale, il dramma contemporaneo della crisi comunitaria, attingendo a episodi realistici in cui rivedersi con orrore. Dark Night però ha meno forza nella regia, non riuscendo a creare quel vortice di inquietudine che conduce nel tragico finale a causa di un montaggio lento e ripetitivo.
Nonostante tutto la riflessione che apre supera i suoi problemi formali perché si costituisce come patrimonio di crescita sociale e la nostra comunità ha bisogno di questa arte per poter superare la sua frattura.
Dark Night è al cinema dall’1 marzo 2018 con Mariposa Cinematografica e 30Holding.