Decision to Leave: recensione del nuovo capolavoro di Park Chan-wook
La pellicola, tra i titoli in concorso a Cannes 2022, è una crime story raffinata e intrigante dove sono centrali l'indagine dell'animo umano e l'incontro tra equilibrio e caos.
Decision to Leave rappresenta il ritorno sul grande schermo dell’apprezzato film-maker sudcoreano Park Chan-wook, noto maggiormente per la trilogia della vendetta composta da Mr. Vendetta (2002), Old Boy (2003) e Lady Vendetta (2005). Tra gli interpreti più originali ed eleganti del cinema asiatico, il cineasta stavolta porta in sala una crime story imperlata di noir e di romanticismo, dove le emozioni sono violente e burrascose e l’intreccio è ricco di colpi di scena e suggestioni.
Decision to Leave, in concorso al Festival di Cannes 2022, è stato premiato alla regia con il Prix de la mise en scène e sta per arrivare nelle sale italiane, con la distribuzione della Lucky Red, il 2 febbraio 2023, anticipato da alcune rassegne cinematografiche dedicate a Chan-wook. Un progetto stratificato e complesso, di una qualità inebriante ed evocativa, nel quale la regia e la scrittura si incontrano in una splendida armonia.
Decision to Leave: la profondità spaziale e narrativa
Decision to Leave potrebbe sembrare, sulla superficie, una crime story come tante altre: il Detective Jang Hae-jun (Park Hae-il) è chiamato ad indagare su una misteriosa morte apparentemente accidentale di un uomo caduto da una montagna. Mente le indagini proseguono, il protagonista fa però la conoscenza della vedova del deceduto, l’affascinante Song Seo-rae (Tang Wei) e il loro rapporto idiliaco e platonico si compenetra perfettamente con lo spirito poliziesco della storia. Detto questo, al di là dell’incastro brillante dei due generi cinematografici, ciò che colpisce, già dalle prime sequenze, è la cura maniacale dell’autore per la profondità spaziale che non si traduce solamente in una ricerca ossessiva dei dettagli.
L’approccio della camera, infatti, nel suo dinamismo, reinventa in ogni inquadratura la scena, giocando in particolare con l’alterazione della messa a fuoco e, soprattutto, alternando riprese con un campo lungo ad altre molto più ravvicinate. Il risultato è un continuo slancio tridimensionale nella vicenda che, con questi escamotage, riusciamo a vedere da più angolazioni differenti, riuscendo a respirare tutte le sue sfumature. Tale eclettismo, inoltre, è volto anche ad una ricerca psicologica sopraffina dei personaggi che, ancor prima che con la narrazione, sono caratterizzati già in fase registica.
Ecco che, di fronte ad un ossessivo compulsivo come Hae-jun, le riprese indugiano in modo preciso sulle sue manie e piccole genialità; al contrario, con Song Seo-rae, la regia cambia forma e colore, divenendo più burrascosa, instabile e caotica, tre elementi propri di questa splendida femme fatale che fa perdere la testa al protagonista. L’accompagnamento della narrazione, in questo caso, rappresenta un appoggio solido che, sulla scia della macchina da presa, riprende ugualmente una continua alternanza di registri stilistici, modellando dialoghi sempre diversi dove la filosofia si intreccia con la comicità, il grottesco lascia poi spazio al dramma.
Passando, invece, alla scrittura dei personaggi, si notano in particolare due poli analitici anche qui: da un lato troviamo spesso descritta una rigidità emotiva sconvolgente che però si muove in un confine ben preciso dove ha modo di interfacciarsi all’esagerazione. Di conseguenza, le varie figure presenti in Decision to Leave, sia le primarie che le comprimarie, sono traboccanti di sentimenti, di sfaccettature, esprimendo a tutto tondo tutta la loro stratificata complessità interiore. Un approccio decisamente ostile e conflittuale che non è affatto semplice da leggere, specialmente per noi occidentali, ma che si lascia scoprire un passo alla volta, prendendosi tutto il tempo necessario per presentare i personaggi.
Decision to Leave: misura e raffinatezza
La pellicola, a livello tematico, è un pozzo infinito di immagini, riflessioni e spunti. Un vortice incessante che, dalla prima inquadratura, lascia lo spettatore solamente durante la conclusione del lungometraggio. Il finale, poetico e melanconico, rappresenta infatti la summa di quanto vediamo all’interno della realizzazione perché chiude la difficile e turbolenta storia tra Hae-jun e Song Seo-rae in modo trascinante e strabordante. Le ultime scene sulla spiaggia lasciano fluire in maniera tempestosa le emozioni, ma riescono comunque a imbrigliare gli animi dei personaggi, dimostrando un senso di misura e raffinatezza fuori dal comune.
Questo armonioso rapporto tra forma e sostanza, tra caos e ordine è forse la chiave di volta di Decision to Leave dove gli opposti, anche se radicalmente appartenenti a due universi distinti, trovano un punto d’incontro. Non si tratta solo del compromesso tra due amanti, ma anche dell’accettazione e della presa di posizione di un’esistenza così tanto folle e sconclusionata che va affrontata con una rigorosa eleganza senza mai strafare. Ciò si traduce in una sofisticata leggiadria che accompagna anche le sequenze decisamente più violente e disturbanti del lungometraggio che, nonostante colpiscano l’occhio, sono talmente eccentriche e fuori dagli schermi, da splendere di creatività.
Anche le stesse performance attoriali, tra le quali spiccano quelle degli attori protagonisti, Park Hae-il e Tang Wei, ricercano in modo puntuale un bilanciamento cercando da un lato di limitare le loro esagerazioni, dall’altro di dare sfogo, in alcuni passaggi precisi del lungometraggio, a esplosioni catartiche dove danno voce a tutte le stranezze e le particolarità dei loro personaggi. Seguire un flusso artistico così incostante è davvero complicato, ma le star coinvolte si lasciano andare, riuscendo perfettamente a costruire una recitazione notevole, sempre varia e inaspettata.
Decision to Leave è un lungometraggio complesso e impegnativo che si configura come una sfida emotiva molto intensa per lo spettatore. La regia, eccelsa e variegata, non si ferma al puro esercizio di stile, dando voce ai personaggi del racconto con il semplice ausilio della macchina da presa, sperimentando al contempo alterazioni di gravità, capovolgimenti, campi lunghi e dettagli in bella vista. La scrittura supporta con grazia tale profondità spaziale caratterizzando i primari e comprimari in modo sublime, rinunciando all’omogeneità, per trovare una strada del tutto originale ed estrema, costruendo anche dei dialoghi sempre in bilico. Un film armonioso dove la misura e l’eleganza sono i picchi d’eccellenza di una storia dal fascino misterioso e irresistibile.