Dellamorte Dellamore: dal libro al film cult
Sulle nostre pagine abbiamo già parlato di Dylan Dog( sia nel presente, sia nel futuro) personaggio immaginario, protagonista dell’albo a fumetti horror Dylan Dog, edito dalla Sergio Bonelli Editore e creato da Tiziano Sclavi.
Ciò che forse non tutti sanno però è che il personaggio più famoso del fumetto horror italiano ha avuto origini diverse, con un altro nome e tutt’altra storia: sempre orientato verso atmosfere oscure, oniriche, drammatiche, Tiziano Sclavi ha scritto un libro nel lontano 1983 che si colloca tra La circolazione del sangue (1982) e Nero (1984); questo libro è Dellamorte Dellamore.
Il romanzo, rimasto inedito per ben 8 anni, viene pubblicato nel 1991 dalla casa editrice Camunia, pubblicazione che segna il successo di Sclavi anche come narratore; la bellezza del libro e il passaparola fanno sì che Tilde Corsi e Gianni Romoli (storici produttori di Ferzan Ozpetek, qui agli esordi) si interessano al progetto e decidono di finanziarne la versione cinematografica insieme a Michele Soavi che ne curerà anche la regia.
Dellamorte Dellamore
Francesco Dellamorte lavora come becchino nel cimitero della piccola cittadina di Buffalora, isolato dal resto del mondo e privo di vita sociale, godendo unicamente della compagnia del suo aiutante Gnaghi, ritardato e incapace di esprimersi a parole (dice solamente: “Gna”). Da qualche tempo una strana “epidemia” si è diffusa nel cimitero: alcuni defunti entro sette giorni dal decesso ritornano in vita. Francesco li chiama perciò “ritornanti”, e si trova costretto a neutralizzarli in qualche modo per poi seppellirli nuovamente, onde evitare che in paese ci si possa accorgere della cosa, per non perdere il posto…
Molti sono i film tratti da libri che stravolgono totalmente l’idea iniziale del romanzo da cui sono tratti, ma fortunatamente Dellamorte Dellamore non è uno di questi poichè il soggetto scritto da Tiziano Sclavi era già stato concepito con una visione cinematografica (nonostante non si parlasse assolutamente di una trasposizione), portando il lettore all’interno del romanzo e facendolo divorare in poche ore per la bellezza e il fascino della storia narrata.
Il lavoro svolto da Michele Soavi alla regia vanta uno stile unico, con inquadrature al limite dell’onirico e uno stile fumettoso che si rifà in parte al Diabolik di Mario Bava, seppur i toni siano totalmente diversi e l’atmosfera pop sia completamente abbandonata.
Soavi oltre a dirigere la pellicola e ad esserne in parte il produttore, firma insieme a Gianni Romoli la sceneggiatura su soggetto di Sclavi: tutto ciò che è presente nel libro viene riportato nella trasposizione cinematografica, pur dovendo tagliare alcune parti ed escludendo totalmente la sottotrama che vedeva i genitori di Francesco Dellamorte come anime che di tanto in tanto vanno a trovare il figlio, una parentesi drammatica e malinconica che avrebbe fatto svoltare il film troppo sulla vita privata del protagonista e abbandonando dunque l’idea iniziale di cine-fumetto horror.
La prova degli attori è molto alta: Rupert Everett (le fattezze di Dylan Dog e di Francesco Dellamorte, realizzato da Claudio Villa e disegnato per la prima volta da Angelo Stano, sono ispirate all’attore per richiesta dello stesso Sclavi) porta in scena un personaggio tormentato, cupo, votato all’amore ma che vive nelle tenebre, sociopatico, affascinante ma anche folle nella sua triste solitudine; la spalla di tutto il film François Hadji-Lazaro nella parte di Gnaghi, nonostante non dica nessuna battuta per tutta la durata della pellicola, funziona perfettamente, utilizzando magnificamente la mimica facciale e corporea; purtroppo la stessa cosa non si può dire di Anna Falchi che, seppur giovanissima e agli esordi, viene ricordata esclusivamente per le sue forme e non per una particolare dote recitativa.
Ciò che rende la pellicola veramente eccezionale sono le musiche di Manuel De Sica, che con le sue note elettroniche avvolge e completa ogni singola scena, e gli effetti speciali del Maestro Sergio Sivaletti, che cura un gran numero di ritornanti tutti estremamente caratterizzati e diversi tra loro, senza contare l’uso di alcuni animatronic dal sicuro effetto.
Da non dimenticare anche la fotografia di Mauro Marchetti, che con l’uso di candele, tagli di luce freddi votati al blu e tonalità cupe, riesce a creare la giusta atmosfera all’interno del cimitero di Buffalora, mentre utilizza toni caldi per le scene in paese o per quelle fuori dalle mura del cimitero.
Le differenze con il libro di Sclavi ci sono, alcune sottotrame vengono (giustamente) escluse per rendere il tutto più d’azione e horror, ma ciò che non è stato tolto dalla pellicola di Soavi, ormai diventata un cult negli anni, è l’atmosfera cupa e allo stesso tempo malinconica e drammatica che, come per il respiro della morte, rimane per tutta la durata del film.
Dellamorte Dellamore è l’esempio di come, a distanza di anni, un buon soggetto, una regia ottima, una prova attoriale eccelsa, delle buone musiche e effetti speciali senza l’uso di CGI, si possa ancora urlare al capolavoro, per un film realizzato con un budget basso ma con la voglia di fare cinema e colpire lo spettatore.
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