Delta: recensione del film con Alessandro Borghi e Luigi Lo Cascio
Recensione di Delta, il film diretto da Michele Vannucci e interpretato da Alessandro Borghi e Luigi Lo Cascio.
A partire dal 23 marzo 2023, nelle sale italiane sarà distribuito Delta, il nuovo film di Michele Vannucci che unisce sullo schermo Alessandro Borghi e Luigi Lo Cascio, due attori che, come sottolineiamo in questa recensione, messi l’uno al fianco dell’altro riescono a valorizzarsi a vicenda e a regalare al pubblico una performance di alto livello, al pari di quelle che ormai da anni continuano ad inanellare nelle loro rispettive carriere attoriali. L’opera, prodotta da Matteo Rovere e Giovanni Pompili, è una produzione targata Groenlandia e Kino produzioni con Rai Cinema, basata su una sceneggiatura scritta dallo stesso Vannucci insieme a Massimo Gaudioso, Fabio Natale e Anita Otto. Sarà distribuita nei cinema da Adler Entertainment.
Delta, recensione del film con Alessandro Borghi e Luigi Lo Cascio
Il film, sin dalle sue prime sequenze, permette al pubblico di immergersi nel cuore del Delta del Po. Una landa desolata che diventa subito teatro dello scontro tra bracconieri e pescatori. È qui che che si muovono Osso (Luigi Lo Cascio) ed Elia (Alessandro Borghi): il primo vuole difendere il fiume dalla pesca indiscriminata della famiglia Florian, in fuga dal Danubio; il secondo, che in quelle terre ci è nato, fa proprio parte dei Florian e si ritroverà presto a dover fare i conti con il proprio passato e soprattutto con se stesso.
Delta è un film che non perde tempo: bastano pochi indizi, seminati già nel corso delle prime scene, per capire che è solo questione di tempo prima che la tragedia si compia. Questo offre la possibilità di concentrarsi sin da subito sul cercare di capire come ciò avverrà, di seguire col fiato sospeso l’escalation di eventi che porteranno ad un punto di non ritorno. Un film su quell’equilibrio che ogni essere umano tenta di mantenere tra la parte più razionale e quella più istintiva di sé, con la consapevolezza che una volta perso il controllo e superato il limite non si potrà più tornare indietro.
“Passiamo la vita a combattere contro noi stessi per cercare si essere migliori. Ma siamo quello che siamo“
La bellezza di Delta risiede anche nella veridicità con cui si evidenzia il fatto che in determinate dinamiche, declinabili in tantissimi altri contesti sociali, non esistano né vincitori né vinti. Durante la visione torna in mente l’idea che Federico Garcia Lorca aveva del genere tragico ai tempi della guerra civile spagnola. A chi affermava che l’antica tragedia fosse ormai estinta e che, nel Novecento, fosse più giusto parlare di “dramma”, il genio artistico spagnolo rispondeva dicendo che, invece, i tratti tipici della tragedia fossero ancora presenti nelle realtà più provinciali, più lontane dallo sviluppo delle grandi metropoli. Un secolo dopo, questa considerazione risulta più attuale che mai e Delta ce lo ricorda perfettamente. Non c’è l’eroe o il cattivo di turno, ma solo esseri umani disperati che tentano di ribellarsi ad un destino che, invece, sembra sovrastarli e, alla fine, schiacciarli sotto il peso di un determinismo biologico immutabile e che non lascia scampo.
“Ci sarà tempo per la farsa, adesso è il momento di tornare a sporcarsi con il reale“, suggeriva sempre Lorca, e Delta è un film in cui ci si sporca, non solo fisicamente: è un film che si fa portavoce di tutte quelle realtà abbandonate a loro stesse, un po’ da Dio e un po’ dallo Stato. Coloro che le vivono in prima persona sono convinti che sia inutile seguire le regole e che l’unico modo per ottenere giustizia sia quello di farsela da soli. E non è forse questo il peggior fallimento per uno Stato? Infine, il parallelismo con Lorca è individuabile anche in una scelta musicale che di certo non viene fatta pensando al poeta spagnolo ma che risulta sorprendente se si pensa a ciò che accade nel corso del film: Lorca, infatti, faceva sempre apparire la luna quando si trattava di rappresentare la morte nelle sue opere. E la canzone che torna più volte in Delta è E la luna bussò di Loredana Bertè: e nel film è proprio la morte e la violenza a bussare all’improvviso in una comunità che, fino a quel momento, si contraddistingueva per la tranquilla convivenza dei suoi abitanti.
Delta è anche un film sull’empatia, o meglio, sulla mancanza di empatia: i personaggi che si incrociano sulla scena non hanno alcuna capacità di dialogo e di confronto. Quello che viene identificato come “l’altro” o “il diverso” diventa subito il nemico da abbattere. Il film, però, riesce a ribadire quanto invece tra le due comunità non vi sia alcuna differenza, né nella violenza né nell’amore per le piccole cose della vita. Emblematica, in questo senso, è la scena ambientata all’interno della casa di Elia, quando cioè si svolge un pranzo caratterizzato da complicità e risate fragorose, dove emergono sì i tratti caratteristici di quella specifica cultura ma anche l’universalità della natura umana. Ovviamente il film si regge soprattutto sul confronto tra Osso ed Elia: i due all’inizio si osservano, si studiano, in fondo sentono che, nella loro disperazione, sono più simili di quanto potrebbero credere in apparenza. Ed è curioso che, nel momento in cui finalmente si ritrovano faccia a faccia, lontani da tutti, a regnare sia soprattutto il silenzio. In fondo, però, si riconoscono l’uno negli occhi dell’altro, si dicono tutto con lo sguardo, dando vita ad una sorta di “ballo violento” in cui in un momento uno domina sull’altro e, l’attimo dopo, i ruoli vengono ribaltati.
Delta: conclusione e valutazione
Delta è un’opera catartica che riempie il cuore e la mente dello spettatore, conquistandone gli occhi con la sua fotografia ed i suoi scenari dai tratti onirici, luoghi che sembrano fuori dal tempo. Il regista gioca su quest’ultimo aspetto, togliendo riferimenti temporali e donando così un forte tratto di universalità alla storia. Sì perché l’obiettivo di Delta non è solo quello di accendere i riflettori su una storia poco nota ai più, ma anche quello di descrivere una dinamica sociale comune a moltissimi altri luoghi, italiani e non solo. Dopo il suo film di debutto, Il più grande sogno, Michele Vannucci propone un western fluviale e rimane assolutamente coerente con la sua idea di cinema legato al reale e desideroso di raccontare storie che, altrimenti, non avrebbero la possibilità di essere esplorate dal grande pubblico. Lo fa con una cura ed una delicatezza che ormai rappresentano la sua cifra stilistica e che fa ben sperare per il prosieguo della sua carriera registica.