Denti da squalo: recensione del film di Davide Gentile
Denti da squalo, esordio nel lungometraggio di Davide Gentile, è una fiaba realistica e un racconto di formazione. Produce Gabriele Mainetti. In sala l'8 giugno 2023.
Racconta, chi il film l’ha fatto, che l’uscita in sala fissata per l’8 giugno 2023 – l’estate cinematografica italiana è per statuto periodo di vacche estremamente magre (il 2023 in realtà fa un po’ eccezione) – garantisce una concorrenza meno soffocante e una visibilità diversa. Ne ha bisogno, Denti da squalo, di visibilità. Perché è un esordio, faccenda molto coraggiosa, perché è una fiaba, di quelle anomale. Realistica, cruda, metropolitana, imbevuta di cronaca di formazione e vita criminale. Un dialogo forte tra passato e presente, tra la vita e la morte. Dirige Davide Gentile, con Tiziano Menichelli, Stefano Rosci, Virginia Raffaele e con Claudio Santamaria e Edoardo Pesce. Produce Goon Films con Lucky Red, IdeaCinema, Rai Cinema e in collaborazione con Prime Video. Di estate si è parlato; l’estate, tra le altre cose, è anche la stagione del film. La stagione di Walter.
Denti da squalo: l’estate di Walter, di Carlo e dello squalo
L’estate come tempo sospeso, evasione, boccata d’ossigeno, parentesi lunga tra la monotonia e le infinite ripetizioni della vita. Molto di quello che l’estate significa per la maggior parte delle persone vale anche per Walter (Tiziano Menichelli), nel suo caso forse di più. Ha 13 anni, la scuola è finita da poco e con la scuola è finita anche l’infanzia. È morto il padre, Antonio (Claudio Santamaria), che una volta era un criminale, poi ha smesso per il bene della famiglia e questo, paradossalmente, il ragazzo non gliel’ha perdonato. Come non gli ha perdonato la morte altruista e disinteressata. Walter se ne va in giro senza meta apparente, per un imprecisato e afoso litorale romano, rubato assemblando scorci un po’ qui e un po’ lì. Scopre una villa misteriosa con un grande giardino, una bella torre e un ancor più grande piscina. Dentro la piscina una sorpresa, affascinante e pericolosa: uno squalo.
Denti da squalo comincia così, fiaba e racconto di formazione; con il tempo aggiunge pure un romanzetto criminale, costruito tutto attorno al boss ragazzo Tecno (Matteo Scattaretico). Mescola realismo e magia, i vivi e i morti, dramma e ironia. A casa, per Walter, le cose non vanno bene. Non c’è solo il fantasma (letterale) del padre scomparso con cui ingaggiare un dialogo complicato, l’occasione per dirsi le cose che quando si era vivi in due non si è fatto in tempo. I problemi il ragazzo ce l’ha pure con chi è rimasto, nello specifico la madre Rita (Virginia Raffaele). Non si parlano, non riescono a trovarsi e devono farlo, ma c’è un macigno, una sedia vuota, che impedisce di fare i conti con la vita e ripartire. Segue il tentativo di un giovane cuore di misurare le cose nella loro profondità complicata, in lungo e in largo, prendendo il bene e il male e decidendo cosa farne.
Prezioso per Walter è l’incontro con Carlo (Stefano Rosci). Dice di essere il guardiano della villa e dello squalo, chissa se è vero. Appartengono, la casa e lo squalo, non i ragazzi, a un malvivente leggendario, il Corsaro (Edoardo Pesce), che da quelle parti però si fa vedere poco o almeno loro non l’hanno mai visto. Si guardano da lontano, Walter e Carlo, non proprio fidandosi, all’inizio. Poi si avvicinano, imparano a capirsi e a volersi bene. Il sottofondo di un’amicizia nata quasi per caso è fondamentale al piccolo Walter per costruirsi un’identità e lasciare andare il passato. Per arrivarci serve l’incontro tra due giovani solitudini, un bel giardino, un’estate sonnacchiosa, una torre bellissima che però sottoterra racconta storie dell’orrore. E uno squalo con cui, in fondo in fondo, si può anche andare d’accordo. La ricetta di Denti da squalo ha bisogno dell’intreccio di tanti ingredienti. Come spesso capita, non tutto lega alla perfezione, ma il coraggio dell’operazione è apprezzabile, tanto per cominciare.
L’impronta di Davide Gentile e il contributo dietro le quinte di Gabriele Mainetti
Ancora una volta, la dimensione fondamentale, nel processo di scoperta di sé, è la perdita, la separazione, la distanza incolmabile. È la morte che lo sfiora prendendosi il padre, che costringe Walter a cominciare un doloroso percorso di maturazione spirituale. Denti da squalo fotografa questo viaggio accostando opposti che generalmente non si parlano: fiaba e realismo. Scritto da Valerio Cilio e Gianluca Leoncini, l’esordio nel lungometraggio di Davide Gentile ha il coraggio di una proposta inconsueta e uno zampino illustre, quello di Gabriele Mainetti, che produce con Goon Films, cura le musiche con Michele Braga e sorveglia artisticamente un racconto che, del suo cinema (Freaks Out, Lo chiamavano Jeeg Robot), conserva l’essenziale. Il gusto di lavorare sulla contaminazione tra generi e atmosfere per produrre qualcosa che somigli molto poco al cinema nostro.
Denti da squalo non è però un film di Gabriele Mainetti, è il debutto di Davide Gentile e ci sono diversi elementi da sottolineare. Sa come lavorare, il regista, sulla distribuzione delle parti, mantenendo un equilibrio ragionato tra i volti noti (Santamaria, Pesce) ai margini e i freschi al centro della scena. C’è una bella interazione tra Stefano Rosci e Tiziano Menichelli; è soprattutto quest’ultimo a colpire per la dignità, la dolcezza e lo stupore sottesi al ritratto di un ragazzo costretto dalla vita a crescere più velocemente e più imprevedibilmente della norma. A fare da punto d’incontro tra i due universi Virginia Raffaele, contromano rispetto all’immagine prestabilita: drammatica, asciutta ma senza rinunciare a qualche momentanea parentesi umoristica. È servito, per sceglierla, non soltanto l’occhio lungo dei produttori, anche la lontananza dal nostro paese di Davide Gentile che, non avendola sperimentata a fondo nella sua comicità, ha potuta guardarla con occhio vergine, senza filtri. Emblematico.
Denti da squalo: conclusione e valutazione
Denti da squalo è un esordio tecnicamente pregevole – l’interazione tra umani e squalo è notevole per gli standard del nostro cinema e molto realistica – coraggioso nel mix di generi e influenze, non del tutto capace di armonizzare i diversi piani di lettura. Un po’ rigido e macchinoso nei dialoghi, soprattutto all’inizio, forse eccessivamente didascalico, brilla comunque di una luce giovane e fresca che merita di essere sottolineata più delle sue imperfezioni.