Deserto Particular: recensione del film di Aly Muritiba
Dalle Giornate degli Autori 2021 all'uscita in sala l'11 gennaio 2024. Deserto Particular, regia di Aly Muritiba, racconta la riscoperta dell'identità oltre le trappole del patriarcato e la mascolinità tossica. Da vedere.
L’11 gennaio 2024 arriva nelle sale italiane, per Cineclub Internazionale Distribuzione, Deserto Particular. Film scritto (insieme a Henrique Dos Santo) e diretto da Aly Muritiba, con Antonio Saboia e Pedro Fasanaro, passato alle Giornate degli Autori nel quadro di Venezia 2021 e vincitore del premio del pubblico BNL. Tre anni circa dalla prima veneziana all’uscita in sala; nel frattempo alcune cose sono cambiate, in Brasile dove è di casa la storia (il contesto sociale e storico del film è importante e va spiegato) e anche da noi. Molte altre, invece, sono rimaste immobili. Vale la pena di parlare di questo on the road appena accennato e dall’apprezzabile leggerezza, che racconta di identità preconfezionate, di passioni e desideri, delle trappole del patriarcato e di una mascolinità costruita in maniera molto discutibile.
Deserto Particular: un amore a distanza conduce a una verità spiazzante
Aly Muritiba ama le strutture definite, la narrazione geometrica. Emerge piuttosto chiaramente in Deserto Particular, un film tagliato a metà tra un primo tempo invernale a Curitiba – la città più fredda del Brasile – e un secondo più estivo e caloroso a Sobradinho, piccolo centro distante la bellezza di 3.000 km da Curitiba. Le due stagioni del film alludono – perché non c’è nulla di esplicito, di dichiarato – alla scoperta di sé dei due protagonisti. Allo svelamento di un’identità maschile depurata di preconcetti e libera di esprimersi senza etichette, assecondando la verità del desiderio e lontana anni luce da rigidità patriarcali e machiste. Bisogna andare per ordine.
Daniel (Antonio Saboia) è un poliziotto e vive a Curitiba. Si prende cura del padre malato, anche lui poliziotto. L’hanno sospeso per una brutta storia di violenza e aggressione sul lavoro e così se ne sta fermo ad aspettare, esistenzialmente immobile, l’inevitabile condanna. In realtà, una boccata d’ossigeno nella sua vita maschilista c’è: la relazione a distanza, fino a quel momento del tutto virtuale, con Sara, una donna del mistero che vive lontana da Curitiba e con cui Daniel raggiunge livelli di verità e intimità che prima non sapeva nemmeno di poter sfiorare.
Decide di andarsene per un po’ da Curitiba. Brucia i 3.000 km che lo separano da Sara per concretizzare una felicità che in quel momento immagina in maniera abbastanza stereotipata. A Sobradinho Sara lo aspetta, sì, ma si comporta in modo strano. Lo lascia avvicinare e subito dopo scappa. Forse perché anche lei (Pedro Fasanaro) ha i suoi segreti, perché di giorno si fa chiamare Robson e vive con la nonna che è tra i pochi a conoscere la verità. La nonna si prende cura di Robson/Sara ed è l’emblema, come il padre di Daniel, dei condizionamenti, dei diktat, dei buoni e dei cattivi maestri che formano l’immagine di una società. Daniel è sotto shock, si sente oltraggiato nell’amor proprio. Cerca conferme eterosessuali e poi pensa di andarsene. Non resta. Forse no, resta. Resta.
Una verità universale e un contesto particolare
Il patriarcato non è l’attributo di un presidente, né la prerogativa particolare di una stagione particolare. Sprigiona tensioni e influenza la costruzione dell’identità – maschile e femminile – nel 2021 come nel 2024. Il patriarcato è materia scottante per il Brasile di Lula come per quello di Jair Bolsonaro; nonostante tutto, differenze piccole e grandi esistono sempre. È importante mettere le cose in prospettiva. Il pubblico italiano deve ringraziare una distribuzione coraggiosa perché Deserto Particular è in sala e non era per niente scontato. Per capire il film bisognerà ricordare il contesto sociale e produttivo attorno a cui è maturato. La regressione autoritaria, la volgarità, il sentimento machista e omofobo; in una parola, la presidenza Bolsonaro.
È nel contesto del Brasile del discusso e discutibilissimo leader trumpiano, nemico giurato di cultura, stato di diritto, sensibilità ambientaliste e tanto altro, che Aly Muritiba situa la fuga, doppia, di Robson e Daniel. Antonio Saboia fa del suo Daniel una maschera di violenza e sopraffazione appena accennata e sottilmente inquietante, via via scalfita da un’inedita dolcezza e un passo più leggero. Ironia della sorte, è la violenza sul lavoro, il machismo portato alle estreme conseguenze, a sbloccarne l’emancipazione, costringendolo alla duplice fuga: da casa e da un’identità non autentica. Il patriarcato è un cane che si morde la coda. La sua violenza e congenita ingiustizia ne accelerano la fine.
La dualità è il mantra di Robson/ Sara; Pedro Fasanaro lavora sul crinale di una contraddizione interessante. Perché il suo personaggio, apparentemente più forte di Daniel, in realtà si nasconde e vorrebbe solo scappare: da casa, dalle aspettative della società, dallo sguardo altrui. Aly Muritiba discute di patriarcato, identità, passione e desiderio – l’hanno notato in molti e giustamente – senza dare un nome troppo preciso alle cose. Lavora su un piano di puro cinema, con poca fiducia nelle parole e un gran rispetto per il carattere e il tono, ambiguo e allusivo, dell’immagine. Deserto Particular è scopertamente intimista, politico senza darlo a vedere, sentimentale rifiutando le facili concessioni; erotico, molto, soprattutto nella seconda parte. Forse troppo schematico nella struttura bipartita inverno/estate, freddo/calore, silenzio/parole. Ma ha coraggio, una visione delle cose lucida e la giusta leggerezza.
Deserto Particular: valutazione e conclusione
Aly Muritiba costruisce un on the road che è anche un passo a due, un film dalla geometria implacabile che lavora sull’identità dei suoi personaggi – sorretti da convincenti protagonisti – per ricavarne riflessioni non solo intimiste o sentimentali ma anche politiche, in modo sottile e felicemente ambiguo. Bella la fotografia di Luis Armando Artega, impegnata a disegnare le due stagioni di Deserto Particular, l’inverno della negazione di sé e il calore della (ri)scoperta.