Diamanti: recensione del film di Ferzan Özpetek
Ferzan Özpetek torna al cinema a un anno di distanza dal precedente Nuovo Olimpo, con Diamanti, in sala a partire dal 19 dicembre 2024.
Diamanti, film del 2024 di Ferzan Özpetek, arriva un anno dopo Nuovo Olimpo che, erotico e passionale, non aveva convinto tutti. Diamanti, che potrebbe essere uno spartiacque nel cinema del regista, è però una vera e propria sintesi della poetica e delle caratteristiche che negli anni hanno definito i film di Ferzan Özpetek, dai più amati ai meno acclamati, dai più umoristici ai più drammatici, ma tutti, nessuno escluso, ricchi degli elementi più riconoscibili del regista. Assoldando un cast di diciotto grandi attrici italiane, Özpetek dichiara cos’è il suo cinema, i particolari che fanno la differenza, i costumi che diventano protagonisti, la cornice surreale e incantata di ogni storia, mettendo al primo posto il suo incondizionato amore per le donne e la figura femminile.
Diamanti è l’Özpetek che ci piace
Il 15º film di Ferzan Özpetek è ambientato negli anni ’70 in una Roma che non si vede, con riferimenti e allusioni che ne danno una connotazione meramente geografica. Perché la vera arena di Diamanti è la sartoria specializzata in costumi cinematografici gestita da Alberta e Gabriella, sorelle agli antipodi, espressione materializzata di concreto, pratico, reale, e del proprio contrario, dove astratto, impreparato e fantastico sono gli unici modi per riuscire ad annichilirsi quanto basta per sopravvivere. Ma con le dure parole dell’una e lo svilimento continuo dell’altra, Özpetek temporeggia rimandando a battute finali motivazioni che delucidano e mettono in chiaro, ma che si potevano anche evitare. Ispirato, suggestivo, a vole elegiaco e surreale, altre volte empirico ed effettivo, e anche duramente realistico, Diamanti racconta un’impresa quasi impossibile che vede una costumista premio Oscar commissionare alla migliore sartoria italiana i costumi per il suo prossimo film, epoca: il ‘700.
Così il periodo storico caratterizzato dal ritorno al lusso e dall’abbandono dei concetti di misurato e semplice, contraddistingue la propria moda con disegni asimmetrici e ridotti al minimo, tinte pastello, corpetti decorati con pizzi, nastri, fiori ricamati, e sopragonna a tinta unita. Ecco che la tingitrice Carlotta è alla ricerca di un colore indefinito, un rosa che prima di ottenere, definisce inesistente, e l’inesperta Beatrice trova negli ornamenti di un corpetto la maggiore espressione della natura del personaggio che lo indossa. E se il colore è il rosso sangue, il bianco panna o, perché no, una nuova tinta di rosa che tornerà nel tempo di moda, solo corpetto e maniche possono essere decorate, perché la gonna deve permettere il movimento, deve avvolgere e invadere. Anche se è in realtà, spesso, simbolo di una gabbia. L’attenzione di Özpetek per come i costumi sono manifestazione sostanziale e macchinario ben attrezzato dell’indole del personaggio, c’è un lavoro minuzioso, ricco di piccoli dettagli e della ricerca di genialità.
Un cast incredibile
Ecco che colori caldi, sgargianti, brillanti, sfavillanti e nitidi ricoprono pareti, soffitti, manichini, tavoli da lavoro, e magazzini dove perline, bottoni, aghi, frange, pietre e ciondoli risplendono alla luce del sole che, trepidamente, filtra tra le tende. Insieme agli occhi meravigliati e stupiti di un bambino che compare all’improvviso, allo sguardo sofferente di un adolescente che vive una depressione alla quale ancora non si dava nome, alla sconosciuta creatività di una giovane ribelle che per ogni abito indossato vede l’espressione di un sé interiore. Elementi che si affacciano, spesso sparendo come sono apparsi, o che tornando, entrano completamente nell’estatico e ammaliante universo di Diamanti. Quasi tutto nasce, si svolge, si realizza e trova linfa vitale tra quella ricerca della perfezione, nel continuo lavoro, nello slancio estroso del momento. Nell’istinto che porta a impegnarsi, a riuscire, a lavorare tutte insieme e a non arrendersi.
Oltre alle sorelle interpretate da Luisa Ranieri, la fredda Alberta, e Jasmine Trinca, la smarrita Gabriella, il cast corale vede nei panni della tingitrice una Nicole Grimaudo efficiente e ironica e a dare il volto alla politicizzata Beatrice inconsapevole di essere forse solo lei quel tocco di originalità del quale l’estro ha bisogno, Aurora Giovinazzo. La modista Paolina, sola con un figlio piccolo che nasconde negli angoli della sartoria, è Anna Ferzetti; la capo sarta Nina con un figlio che non esce dalla propria stanza è Paola Minaccioni, con la ricamatrice Eleonora che tiene segreta la relazione con un uomo molto più giovane di lei interpretata da Lunetta Savino. Insieme a Fausta, Nicoletta e Giuseppina che, volti rispettivamente di Geppi Cucciari, Milena Mancini e Sara Bosi sono, la prima, modello di indipendenza femminile alla ricerca di giovani impacciati da mettere in difficoltà, la seconda simbolo dei segni della violenza di genere che prima si minimizza e poi si rivela con terrore, e l’ultima la nuova generazione, la stagista che vuole “fare la costumista” saltando alcuni obbligati step precedenti.
Diamanti è impatto visivo e intensità emotiva
Tra gli uomini Stefano Accorsi è un regista che rincorre l’idillio e il connubio perfetto del suo film che definisce, probabilmente come i precedenti “il più importante“, Vinicio Marchioni è un marito violento e insensibile e Edoardo Purgatori, segretario della sartoria e anche lui sotto le grinfie della direttrice Alberta. Senza dimenticare Mara Venier, Carla Signoris, Vanessa Scalera, Kasia Smutniak, Elena Sofia Ricci e Milena Vukotic. Dove non solo ognuna è perfetta nel proprio ruolo, ma ognuna è simbolo, anima e caratteristiche espressive di figure femminili stratificate, complesse, tridimensionali. Ognuna vista nella propria unicità e nel proprio essere parte di una collettività dove ciascuna è essenziale all’altra. Affascinante in ciò che sembra essere puramente visivo, ma che mai ha la sola funzione rappresentativa di ricercata bellezza e di distinta classe, Diamanti è più raffinato e tenue nei sentimenti che esprime. Quelli stessi sentimenti che, prima con più prudenza, si esternano poi più temerari, senza formule: umanità, connessione e senso di sorellanza tra donne che mai saranno solo colleghe. Avendo tutte anche una vita fuori da quella sartoria, ma avendo però lì, nel luogo di lavoro, quel qualcosa che mai potranno trovare altrove.
Diamanti: valutazione e conclusione
La sceneggiatura è imperfetta, ma non disturba esageratamente un film dove limpido, puro e confortante è il linguaggio del regista: l’atmosfera trasognata, un mondo incantato, una docile malinconia e una magica poetica. Tratti inconfondibili che vengono riproposti con delicatezza ed eleganza, che solo all’apparenza sembrano inserirsi con discrezione. Ma che poi si glorificano esaltando tutto ciò che negli anni si è amato nei film e nella visione artistica del regista. La connessione umana che esiste tra le diciotto donne di Diamanti è la più alta forma d’amore: l’amicizia, quella femminile, dove solidarietà, comprensione e sostegno non hanno eguali. Come il diamante è da sempre il simbolo dell’amore eterno, indistruttibile, invincibile e infinito, così è ciò che lega i diamanti della storia. Diamanti che insieme, unite, sono imbattibili e insuperabili. E non solo negli abiti che creano.
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