Dirty Difficult Dangerous: recensione del film

Il secondo lungometraggio del regista franco-libanese Wissam Charaf ha aperto le Giornate degli Autori alla 79ma Mostra del cinema di Venezia, dal 1° novembre 2023 è al cinema grazie a Intramovies, con la collaborazione di Cineclub Internazionale.

In Dirty Difficult Dangerous, il film di Wissam Charaf presentato alla 79ma Mostra del Cinema di Venezia come film d’apertura delle Giornate degli Autori, dove ha vinto il Premio Label Europa Cinemas come Miglior Film Europeo, Mehdia (Clara Couturet), una giovane etiope immigrata in Libano, è a servizio del Signore, un ex colonnello affetto da demenza senile: l’uomo le tende agguati notturni, suggestionato dalla visione di Nosferatu di Murnau. Ma agisce da vampiro anche di giorno, insieme alla donna che ha assunto Mehdia perché si occupi di lui: il lavoro domestico richiesto alla ragazza somiglia, infatti, molto alla schiavitù. Ahmed (Ziad Jallad), senzatetto siriano, è anch’egli un profugo: ha lasciato la sua terra per scampare alla guerra e alla miseria. 

Dirty Difficult Dangerous: in una Beirut schiavista e xenofoba, due profughi s’incontrano e riprendono il viaggio. Ma il loro movimento (e, così, anche quello del film) è solo apparente

Dirty Difficult Dangerous recensione Cinematographe.it

A Beirut, tuttavia, Ahmed ha trovato solo la strada, un letto su cui può stendersi a ore e una misteriosa malattia che si manifesta attraverso piaghe sulle pelle da cui fuoriescono, anziché sostanze purulente, metalli. E sì, certamente, ha trovato anche lei: Mehdia. I due giovani, relegati ai margini del Paese a cui avevano chiesto asilo e in cui avevo riposto le loro speranze di migliorare le condizioni di partenza, strappano alla routine quotidiana baci scivolosi e maldestri, nella fretta di consumare un affetto che, più che consolare, impensierisce per la sua caducità, per l’impossibilità di ipotecargli un futuro. Eppure, la vincita a una lotteria nazionale sembrerebbe offrire respiro e incoraggia i due innamorati a spingersi ancora più a Est, verso un domani che si può, forse, ancora scrivere. 

Il cineasta dai natali libanesi (ma oggi vive a Parigi) Wissam Charaf, al suo secondo lungometraggio, sembrerebbe voler affrontare la realtà del suo Paese d’origine – il suo razzismo nei confronti degli immigrati, le sue divisioni interne, forse residue della guerra civile che lo ha spaccato in due, dal 1975 al 1990 – più programmaticamente che effettivamente. Dirty Difficult Dangerous depone subito gli strumenti realistici di indagine per adottare, più che la lente della fiaba, un timbro indeciso tra candore vagamente umoristico e dolenzìa fin troppo serena, mai cinica, caustica o crudele, quasi che, in fondo, lo squallore delle esistenze di Mehdia e Ahmed, così come le ingiustizie e i soprusi che patiscono, possano trovare nella quietudine dello sguardo drammaturgico – quasi un intontimento, un’estatica stupefazione – il medium più adeguato a esprimersi, a consegnarsi allo spettatore-interlocutore-depositario del discorso filmico.

Dirty Difficult Dangerous: conclusione e valutazione

Dirty Difficult Dangerous recensione Cinematographe.it
‘Dirty Difficult Dangerous’ è il secondo lungometraggio di Wissam Charaf.

Nell’assenza di un segno – o, se vogliamo vederla diversamente, nell’esitazione del segno –, il film si srotola, però, come una nuvola che si allontana da terra e finisce per non interessare più chi, camminando, solleva per un attimo il capo e subito lo ripiega, affatto colpito di fronte a un oggetto tanto sfocato da non potersi stagliare sullo sfondo. Il rapporto amoroso tra i protagonisti, al di là delle scene postcoitali, appare de-erotizzato: i due non hanno forze per desiderare (e desiderarsi), forse, ma allora cosa li tiene insieme? Solo l’affratellamento nella solitudine e nella povertà materiale – e un po’ anche morale, per conseguenza o concomitanza – delle loro vite? Cosa li fa muovere l’uno verso l’altro e, insieme, nel loro esodo come coppia, dopo il primo affrontato singolarmente? La disperazione?

Non sembrerebbero creature disperate: Ahmed conserva in ogni circostanza un sorriso da santo inebetito; Mehdia talvolta si fa pensosa, ma anche il suo contegno si distende rapidamente, volgendosi a una neutralità affettiva che s’approssima all’imperturbabilità, alla disciplina della tolleranza. Sono impressioni fuggitive, quelle che provengono dai personaggi e insieme li sostengono da ‘dentro’, a cui il film si aggrappa un po’ per procedere, ma, a causa della loro labilità, risultano appigli troppo esili perché il film possa veramente muoversi. Dirty Difficult Dangerous è un’opera il cui fascino resta sulla carta, lost in translation, e paga a caro prezzo – la precoce indifferenza dello spettatore – la confusione ideativa da cui origina: più che mancanza di coraggio autoriale, un difetto congenito di autorialità, vacuità immaginativa, debolezza dei dispositivi drammaturgici, tra loro troppo isolati perché possano collegarsi e fare sistema. Il destino di questo racconto visivo è, dunque, in ultima battuta, la dispersione in una folata di fumo, l’insignificanza, un’epifania che non rivela nulla.  

Regia - 2
Sceneggiatura - 2
Fotografia - 3
Recitazione - 3
Sonoro - 3
Emozione - 1

2.3