Disobedience: recensione del nuovo film di Sebastián Lelio
Ronit è un’affermata fotografa e vive a New York. L’improvvisa morte del padre la costringe a tornare a Londra, nella piccola comunità ortodossa dalla quale è scappata molti anni prima.
Ancora una storia di donne forti, inossidabili di fronte agli ostacoli della vita: dopo Gloria e il premio Oscar Una donna fantastica, il regista cileno Sebastián Lelio torna con Disobedience, un’intensa storia d’amore e ribellione tratta dall’omonimo best seller di Naomi Alderman in uscita il 25 ottobre.
Ronit (Rachel Weisz) è un’affermata fotografa e vive da sola a New York. L’improvvisa morte del padre la costringe a tornare a Londra, nella piccola comunità ortodossa dalla quale è scappata molti anni prima. Ronit, emancipata e anticonformista, è mal vista da parenti e fedeli, colpevole di aver abbandonato il padre, amatissimo capo rabbino, per una vita dissoluta e lontana dai principi della sua fede. Addolorata per la perdita del genitore che non la riteneva più sua figlia, Ronit trova conforto in Esti (Rachel McAdams) con la quale da adolescente ha avuto una storia d’amore e che ora è sposata con il cugino Dovid (Alessandro Nivola). Tra le due donne ritorna inesorabile la passione che porterà scompiglio nelle loro vite.
Disobedience – Un flusso di emozioni
È un continuo tumulto di emozioni quello che traspare dalle espressioni dei protagonisti di Disobedience. I primi piani, illuminati dalla bella luce di Danny Cohen, sono esaltati dalle lunghe riflessioni che il trio si trova ad affrontare: per Ronit l’ostilità di un’ambiente che non le è mai appartenuto; per Esti la consapevolezza di non essere sincera in primis con sé stessa, di essere completamente diversa dall’immagine di moglie devota che la comunità ortodossa le ha cucito addosso; per Dovid la ferita causata dalla perdita di ogni certezza che nemmeno la fede può rimarginare. La narrazione è così dilatata da far immergere lo spettatore totalmente nel vissuto di Ronit, Esti e Dovid. Un trio, recitato intensamente da Weisz – qui anche in veste di produttrice – McAdams e Nivola, unito da un amore che va oltre le normali convenzioni.
Disobedience – Le donne di Sebastián Lelio
Sebastián Lelio esplora nuovamente il tema della libertà personale, indagando il percorso doloroso di personaggi ritenuti ancora “diversi” dalla società contemporanea. In Una donna fantastica Marina, la protagonista trasgender, è costretta a scontrarsi con i pregiudizi e la violenza di chi non riesce a vedere in lei quello che è: una donna vera alla quale viene tolto anche il diritto di dire addio alla persona amata. In Disobedience, nel nord della Londra moderna, trasgredire per una donna significa affermarsi nel mondo, rifiutando anche il matrimonio come obiettivo principale della vita. In questo anacronistico involucro sociale è rimasta impigliata Esti, lesbica e infelice che non riesce a frenare i suoi istinti di fronte al vecchio amore Ronit: il suo non è un legame “legittimo” per una società capace di tramutare un sentimento puro in qualcosa di cui vergognarsi.
Il regista non mette semplicemente in atto l’ennesima accusa alla chiusa comunità ortodossa ebraica ma affronta una tema universale: il coraggio di essere sé stessi oltre il conformismo e il giudizio anche delle persone che amiamo. Tutto il mondo è paese e, che si tratti di un piccolo paesino del sud Italia o di un quartiere nella cosmopolita Londra, ancora sussiste l’immagine della donna come mero angelo del focolare.
Le donne di Lelio, invece, non si arrendono alla cieca obbedienza e non sono un “supporto” degli uomini. Come avviene anche in quest’ultima opera: una storia che indaga l’universo femminile in tutte le sue sfaccettature e contraddizioni, rappresentato magistralmente da un regista chiaramente sensibile a questo tema e legato profondamente alle donne. Un autore che conosce quello che le donne non dicono.