Doctor Who – 8° stagione: recensione
Doctor Who è la serie tv, nata in Inghilterra, in casa BBC, più longeva al mondo.
Il 23 novembre 1963, alle ore 17.16, venne mandato il primo episodio intitolato La ragazza extraterrestre e da allora si sono susseguite 26 stagioni, che definiscono la Serie Classica, fino al 1989, poi un film per la tv nel 1996 e dal 2005, con la nuova serie, altre 8 stagioni.
Il Dottore è un alieno, Signore del Tempo, originario del pianeta Gallifrey che dopo esser fuggito da casa, con sua nipote Susan, e rubato un TARDIS, macchina del tempo che ha le fattezze di una cabina blu della Polizia inglese degli anni ’60, ma molto più grande all’interno, intraprende mille avventure viaggiando per pianeti straordinari in epoche sempre diverse, circondandosi di companions incredibili dalle personalità sempre sfaccettate e combattendo nemici senza tempo come i Dalek, i Cybermen, o il Maestro (The Master). La particolarità incredibile del personaggio del Dottore è che nel momento in cui è prossimo alla morte, utilizza un trucchetto genetico che gli permette di sfuggire ad essa: la rigenerazione. Con essa lui cambia, non solo volto, ma anche i caratteri più superficiali della sua psicologia rendendolo ad ogni incarnazione un personaggio sempre diverso, ma in fondo sempre uguale. Ad oggi, 13 sono le personificazioni dall’alieno con due cuori: William Hartnell (1st), Patrick Troughton (2nd) , Jon Pertwee (3rd), Tom Baker (4th), Peter Davison (5th), Colin Baker (6th), Sylvester McCoy (7th), Paul McGann (8th), John Hurt (War Doctor), Christopher Eccleston (9th), David Tennant (10th), Matt Smith (11th) e Peter Capaldi (12th).
L’ottava stagione, andata in onda dal 23 Agosto 2014 all’8 Novembre scorso ha rappresentato un giro di boa importante per la serie: non solo vede aprirsi le porte di una nuova era per le vicende del Dottore, dopo lo speciale celebrato per i cinquant’anni della serie, The Day of the Doctor, andato in onda il 23 Novembre dello scorso anno, infatti, veniva introdotto il War Doctor, incarnazione tra l’Ottava e la Nona rigenerazione e veniva raccontata la Guerra del Tempo, evento cardine tra la serie Classica e Nuova, ma con The Time of the Doctor, speciale di Natale del 2013, vedevamo chiudersi il cerchio iniziato con la quinta stagione, e debutto dell’Undicesimo Dottore (Matt Smith), con una scoperta incredibile: Gallifrey non è perduta, ma nascosta da qualche parte nell’Universo.
Con la conferma di Peter Capaldi come attore che avrebbe impersonato il Dodicesimo Dottore, il fandom si è diviso: da una parte, la schiera di giovani fan, non vedeva di buon occhio l’introduzione di un attore non più ragazzo belloccio come il ventiseienne Smith appena ingaggiato nel 2009, dall’altra, l’eccitazione dei fan più longevi nel trovare un attore che ricordasse i Dottori del passato. Dopo le tre grandi stagioni di Matt Smith ed una rigenerazione lampo nell’ultima sequenza dello scorso speciale di Natale, abbiamo dovuto aspettare nostalgici ed impauriti, ma curiosi, l’arrivo di questo nuovo Dottore.
Con Deep Breath, quindi, conosciamo per la prima volta Twelve. Come ogni post-rigenerazione, il Dottore è confuso, non ricorda nulla di ciò che è appena accaduto. La sua companion, Clara Oswald, la ragazza impossibile della settima stagione, avendo assistito al cambiamento totale del Time Lord, si trova anch’essa a dover fare i conti con una situazione del tutto caotica in cui rabbia da abbandono e paura dell’ignoto convergono come un grosso macigno. Che ne è stato di quel ragazzo avventuroso e coraggioso? Perché l’ha abbandonata? Chi è questo uomo ora rude e confuso? E’ il Dottore.
Con Into the Dalek, secondo episodio della stagione, il Dottore inizia a chiedersi se sia o meno un buon uomo. E’ il Dalek che gli fornisce una risposta definendolo un “Dalek buono”, quindi eliminando quella concezione di Dottore santo ed eroe dell’Universo, divinità indissolubile ed imprescindibile.
Questo concetto è un po’ il punto chiave di tutta questa ottava stagione: cos’è il Dottore?
In questo viaggio psicologico all’interno del personaggio vediamo cambiare anche il rapporto con Clara. Anche lei, reduce da un percorso intenso, è forse una delle companion più umane viste fino ad ora. Non che Amy Pond o Rose Tyler non siano state umane, anzi, ma la ragazza impossibile è quanto di più realistico ci possa essere: è una persona irascibile, contraddittoria, probabilmente egocentrica, irritante, ma vera, un’autentica donna con pregi e difetti. Forse, proprio gli aspetti di questo nuovo carattere del personaggio, hanno fatto sì che Clara non fosse più la mera assistente del personaggio principale, ma quasi controparte e addirittura comprimaria di questi. In questo caso, Jenna Coleman e Peter Capaldi, fanno un lavoro incredibile, è impossibile non notare l’alchimia tra i due attori, le loro prove sono così autentiche da rendere i loro personaggi quasi fragili e spogli della loro corazza protettiva e ciò che viene mostrato è un ritratto psicologico dettagliato: il Dottore non è più un boyfriend, né tantomeno Clara è l’assistente innamorata.
Questa inevitabile frattura nel rapporto fra i due porta entrambi e prendesi dei momenti di pausa: il Dottore viaggia da solo più frequentemente, Clara, insegnante, conosce e intraprende una relazione amorosa con il misterioso Danny Pink. Ciò porta la ragazza a fare delle scelte importanti: seguire il Dottore o abbandonarlo per vivere la vita con il suo Amore? Clara prova a fare entrambe le cose scivolando in bugie e segreti. Nel momento in cui arriva ad una scelta definitiva, un tragico avvenimento rimette in gioco tutto.
Ricordando la prima stagione del New Who, con il Nono Dottore e la sua companion Rose Tyler, ci torna in mente il famoso Bad Wolf, due parole sparse nel tempo e nello spazio che fino all’ultima puntata di stagione, non erano state che per noi solamente parole. In questa nuova stagione, sul finire di alcune puntate abbiamo incontrato un personaggio di nome Missy che è restato nell’ombra fino al doppio finale di stagione: Dark Water e Death in Heaven. Abbiamo scoperto poi essere il Maestro, acerrimo nemico del Dottore, ora rigenerato in una versione femminile con l’intento di soggiogare ancora una volta il suo vecchio amico d’infanzia. Nelle battute finali tra i due contendenti, il Dottore, cercando di capire quanto fosse simile al suo nemico, realizza la cosa più importante.
Perciò riprendiamo la domanda: cos’è il Dottore?
Non è né un santo né un eroe, né buono né cattivo, né angelo né demone, ma un uomo, che sbaglia ed impara, che fa del suo meglio e lo accetta. Nel quarto episodio, Listen, c’è un oggetto che attraversa il tempo e lo spazio: si tratta di un soldatino giocattolo privo di arma. Il Dottore è proprio questo: un soldato senza pistola, ma con un cacciavite, metafora del riparare e non del distruggere. E la paura non è un difetto, ma un potere che ci permette di crescere.
Moffat non realizza un finale esplosivo ed epico come The Big Bang o The Wedding of River Song, ma ci regala una presa di coscienza che mette in secondo piano le vicende che accadono intorno: il Maestro, la UNIT, i Cybermen. E’ una stagione difficile da catalogare e molto più intimista che dark. Ogni episodio ha un significato intrinseco che va svelato: in Kill the moon come in Mummy on the Orient Express ci si viene messi di fronte ad una scelta, sul finale di quest’ultima puntata, il Dottore dice: ”Alcune volte le uniche scelte che siamo costretti a prendere sono cattive, ma dobbiamo comunque farlo.” Come a dover rimarcare ancora una volta l’umanità di questo personaggio, e non solo.
Nell’intero, questa è una stagione veramente sfaccettata, i 12 episodi si bilanciano abbastanza: lo pseudo thriller d’azione di Time Heist viene compensato dal più tranquillo e gioiellino The Caretaker. L’umoristico Robot of Sherwood si contrappone al misterioso Flatline, mentre The Forest of the night è una gioia per gli occhi e l’anima.
Nel complesso, non c’è un episodio veramente dominante, con Deep Breath abbiamo avuto una season premiere col botto, mentre con Listen un episodio che ci ha tenuti incollati allo schermo per tutti i 45 minuti.
Steven Moffat, showrunner di Doctor Who dal 2010, a differenza delle precedenti stagioni non ha dato un importanza evidente alla trama orizzontale e ciò ha portato uno scetticismo generale soprattutto sulla scelta finale di introdurre e raccontare un personaggio complesso come Missy che è uscito di scena in modo un po’ sbrigativo. Inoltre molte domande nate nel corso delle puntate non hanno ancora ricevuto una risposta. (Perchè il 12esimo Dottore ha il volto di Caecilius di The Fire of Pompei e John Frobisher di Torchwood – Children of Earth? La Terra Promessa è Gallifrey? Come ha fatto il Maestro a tornare dopo gli eventi de La Fine del Tempo? E tante altre ancora.) Come ben sappiamo, il buon Moffy, non è nuovo a questa strategia: basti pensare al fatto che l’origine del Silenzio, apparso per la prima volta nella sesta stagione, sia stato svelato nello Speciale Natalizio dello scorso anno, e quindi dopo ben un’intera stagione. Ci aspettiamo che quindi tali risposte ci vengano soddisfatte prossimamente.
Peter Capaldi è il Dottore. E’ entrato di prepotenza nella serie ed è riuscito a farsi amare e odiare allo stesso tempo. Sarà il suo passato da fanboy, ma il suo è uno dei Dottori più controversi di sempre: innanzitutto, ricorda moltissimo le precedenti incarnazioni classiche, inoltre porta con se tutti i bagagli raccolti dal suo predecessore, lo straordinario Matt Smith. Il suo è un Dottore così universale che descriverlo ancora viene difficile. La prova attoriale di Capaldi è così incredibile che quasi ci si immedesima in lui e si soffre, si ride con lui. Semplicemente immenso. Anche Jenna Coleman, nella parte di Clara, fa un lavoro immane rendendo il suo personaggio anch’esso amato ed odiato. Michelle Gomez, nella parte di Missy invece, è pura goduria: inquietante e disturbante al tempo stesso, straordinaria, regge il confronto con il Maestro psicopatico di John Simm, peccato non averla caratterizzata ancora. Forse questo è stato lo spreco maggiore della stagione. Samuel Anderson, bravo, ma pacato nella parte di Danny Pink.
Ci sarebbe ancora moltissimo da dire. Inoltre non è mai facile mantenere un rapporto distaccato verso una serie molto amata e molto discussa, si rischia sempre di cadere in pareri soggettivi frutto delle emozioni che vengono suscitate. Questa non è stata una stagione eccellente né pessima, ci ha mostrato un nuovo lato del Dottore e un nuovo punto di vista. Moffat è scivolato in trame non risolte del tutto e non ha rischiato come avrebbe dovuto. Si è anche lasciato travolgere da infinite e quasi fastidiose continue citazioni verso il suo amato Undicesimo Dottore, forse assecondando le fan girl nostalgiche di Matt Smith. Sì, ha fatto scelte discutibili, ma ci ha regalato tante altre emozioni. Ci ha donato episodi di una bellezza visiva disarmante, ci ha fatto assistere a dialoghi esilaranti e commoventi.
E’ questo che fa Doctor Who: ci diverte, ci fa arrabbiare, ci fa pensare, ci fa soffrire, insomma ci rende vivi e ci mette a contatto gli uni con gli altri. Siamo Eremiti Uniti che si confrontano e rivedono nel Dottore un uomo come un altro, con pregi e difetti, eppure il più straordinario fra tutti. Doctor Who non è solo una serie di fantascienza, è ancora molto di più, e questa stagione l’ha dimostrato nuovamente.