Dog Man: recensione del film d’animazione di Peter Hastings

Il film DreamWorks è tratto dall'omonima serie di graphic novel, scritta da Dav Pilkey.

L’eroismo, gli affetti, il rapporto genitoriale, l’animazione che mescola l’action poliziesco con il dramma familiare, accompagnata da note umoristiche e tratti di surrealtà; a qualche mese di distanza dall’uscita de Il robot selvaggio, arriva nelle sale cinematografiche italiane – a partire da giovedì 30 gennaio – Dog Man, il 49° lungometraggio targato DreamWorks Animation, che racconta le gesta di un super-poliziotto metà cane e metà uomo. Basata sull’omonima serie di graphic novel per bambini realizzata da Dav Pilkey, prodottoa da DreamWorks e distribuita dalla Universal Pictures, l’opera è uno spin-off di Capitan Mutanda – Il film, la pellicola d’animazione distribuita nel 2017, che ha dato il via ad un nuovo franchise, dedicato al personaggio noto anche come Mr. Grugno, di cui Dog Man è il secondo progetto proposto. Dav Pilkey si è trovato per la seconda volta a collaborare con Peter Hastings, regista del lungometraggio, con il quale aveva già lavoro per Le epiche avventure di Capitan Mutanda, serie animata distribuita da Netflix tra il 2018 e il 2020. Nella versione originale di Dog Man spiccano alcuni dei nomi degli artisti che hanno prestato le proprie voci ai personaggi, su tutti quelli di Pete Davidson, Isla Fisher, Billy Boyd e Ricky Gervais.

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Dog Man: la nascita del superpoliziotto domestico

Dog Man cinematographe.it

La coppia di poliziotti formata dall’agente Knight e dal suo affezionatissimo cane Greg fin dall’inizio sembra essere quasi impeccabile nel suo lavoro, ma è durante il primo burrascoso inseguimento in cui vediamo i protagonisti in azione per tentare di sventare l’ultima minaccia perpetrata dall’acerrimo nemico Gino – Il gatto (Pete Davidson) che, a causa di un brutto incidente, i due partner si trovano costretti a subire un’intervento per unire il corpo dell’uno con il muso dell’altro. Le abilità fisiche dell’uomo si uniscono all’astuzia investigativa dell’animale, dando così vita ad una creatura sovrannaturale in grado di sgominare ogni tipo di crimine e di conquistare ogni giorno le prime pagine dei giornali e le dirette del notiziario locale.

L’inarrestabile e rituale caccia al gatto non sembra però trovare tregua dato che, nel momento in cui viene catturato, Gino riesce puntualmente ad evadere di prigione, provocando le frustrazioni di Dog Man (Peter Hastings), unite alle preoccupazioni del capo di polizia (Lil Rel Howery) e alla collera della sindaca della città. La svolta arriva con l’entrata in scena di Ginetto (Lucas Hopkins), una versione ridotta dell’antagonista che, invece di dar vita ad un suo clone, come da piano, porta alla luce quello che, a tutti gli effetti, si identifica immediatamente come sua prole. In breve tempo, però, il piccolo felino lega anche con lo stesso Dog Man, portando così ad uno stravolgimento del rapporto tra i due nemici giurati, dovuto anche al risveglio del crudele e minaccioso Flippy (Ricky Gervais), pesce dai poteri psicocinetici in cerca di vendetta.

L’unione fa l’affetto

Dog Man Dreamworks cinematographe.it

Dog Man è un film che parla di legami, di affetti, un film tanto esplicito da rappresentare tale affezione in maniera lampante a livello visivo, ancor prima che concettuale. L’agente Knight e il suo fido compagno Creg sono uniti indissolubilmente fin dalla primissima sequenza, fin da quella parte della loro esistenza che li ha visti distinti in due forme complementari, nell’aspetto e soprattutto nello spirito, e molto vicini a livello sentimentale. I due hanno quel rapporto cane-padrone che più si avvicina a quello che vi è tra un padre ed un figlio, ed ecco che infatti, nel momento della fusione e della mescolanza dei corpi, quella complementarietà diventa un intero quasi perfetto, quel rapporto diviene l’esplicitazione del semplice ma fondamentale concetto che vuole un figlio come parte del proprio padre e viceversa. Il rapporto genitoriale o quello che ad esso si avvicina sta al centro, declinato in diverse forme e arricchito principalmente dalle dinamiche che vedono Gino essere il personaggio più complesso e mutevole del film, soprattutto grazie al confronto con Ginetto e con il suo stesso genitore.

Dog Man: valutazione e conclusione

Peter Hastings cinematographe.it

Interessante pertanto il tema attorno a cui Dav Pilkey ha voluto costruire questa storia, oggi portata in auge da DreamWorks e da Peter Hastings, ma è proprio sul lavoro produttivo e su quello registico che sorgono diversi dubbi. Il chiaro fine intrattenitivo dell’opera pare preponderare esageratamente sotto diversi punti di vista, a partire da una resa grafica che da una parte vuole rievocare l’animazione da fumetto belga e dall’altra ricerca quella tridimensionalità contemporanea a cui l’occhio infante è ormai abituato, ottenendo così un risultato difficile da scalfire e penetrare, una resa finale in grado di attrarre lo sguardo del giovane pubblico senza però solleticarne il pensiero. Il ritmo serrato va nella stessa direzione, dando tanto spazio all’action e alle gag comiche ma senza dare abbastanza respiro al melò, al racconto e al significato umano che sta alla base. Sembra un’operazione semplificata, un progetto nato per provocare innanzitutto un’interesse visivo, d’impatto, ma che non ha nulla a che vedere con la portata drammaturgica e la complessità narrativa delle opere realizzate da DreamWorks tra la fine degli anni ’90 e l’inizio dei 2000, da Il principe d’Egitto a Shrek, da Spirit – Cavvallo selvaggio a Madagascar.

Regia - 2.5
Sceneggiatura - 2.5
Fotografia - 2
Recitazione - 2.5
Sonoro - 2.5
Emozione - 2

2.3