Venezia 75 – Domingo: la recensione del film
Clara Linhart e Felipe Barbosa dirigono un film malinconico, capace di ricordare i migliori film Italiani degli anni '60.
Vi sono momenti nella storia politica di un paese, in cui tutto sembra sul procinto di cambiare, di essere stravolto, le vite dei suo abitanti rivoluzionate, tutto ciò che c’era prima quasi sembra perdere valore o comunque viene rivalutato alla luce di quel singolo istante, quel piccolo momento storico.
Per l’Italia possiamo parlare del Referendum del 1946, per gli USA l’elezione di Obama, per la Germania la caduta del Muro di Berlino, per il Brasile l’elezione di Luiz Inacio Lula Da Silva, per tutti Lula, il Presidente Metalmeccanico.
Oggi sappiamo com’è finita quella elezione, quel percorso politico: nella corruzione, negli arresti, nei processi, nella tragedia di un paese che dal sogno ha dovuto abbracciare un incubo.
Ma per un lungo, incredibile momento, chi non aveva niente in Brasile ha sognato finalmente di poter contare di nuovo qualcosa.
Di questo, anche di questo, parla Domingo, diretto con mano lesta e divertita da Clara Linhart e Felipe Barbosa, da una sceneggiatura complessa e variegata di Lucas Paraizo, per il montaggio di Waldir Xavier e la fotografia di Louise Botkay.
Domingo – uno scontro tra diverse opinioni politiche e tra le diverse generazioni
Di base Domingo può essere paragonato a buona parte di quella commedia europea dove i drammi familiari, le gelosie, i tradimenti, gli amori, le divisioni, l’ironia, insomma tutto quello che caratterizza il classico “pranzo della domenica” è strutturato per parlarci non tanto dei protagonisti tanto di chi rappresentano.
E Domingo in ultima analisi è tutto questo, ma anche di più, visto che abbellisce il racconto, il tutto, con una grande maestria nei vari litigi, nella varie scaramucce tra generazioni, opinioni, visioni del mondo e situazione familiare.
Di base il film può essere definito matriarcale, visto che a rivestire la parte del leone è Laura (Itala Nandi), personaggio fragile, snob e arrogante, perfetta personificazione dei borghesoni arricchiti e arroganti di tutto il mondo.
Il suo terrore per la vittoria della “plebe” e del suo rappresentante, dietro il sorriso suscitato dalla situazione comica e grottesca, è in fondo portatore di un messaggio politico e culturale che ritorna per tutto il film, quasi a ricordarci che Domingo non è una commedia familiare all’italiana. Per fortuna.
Il resto del cast composto da Augusto Madeir, Camila Morgado, Manu Morelli, Ismael Caneppele, Martha Nowill, Silvana Silvia, Maria Victoria Valencia e Micheal Wahrmann, si muove con agilità sotto la guida di un’ottima regia e di una sceneggiatura leggera ma mai superficiale. Anzi.
Lo script di Domingo è maestro nel creare non solo uno scontro tra diverse opinioni politiche, ma anche tra le diverse generazioni, ognuna delle quali con una diversa idea della vita, del Brasile, di Lula, di cosa significherà quell’elezione per un Brasile sempre in bilico tra riscossa e ricaduta.
Il tutto mostrato allo spettatore da una regia che cambia stile e modalità espressiva di situazione in situazione, evitando quella staticità che sovente trasforma il film sui pranzi o riunioni familiari nell’ecatombe del ritmo e della vivacità.
Domingo ricorda i migliori film italiani degli anni ’60
Domingo (almeno per i brasiliani) sarà sicuramente ammantato di una malinconia e tristezza non indifferente, almeno al pensiero di quei gioiosi momenti per le classi più povere e bisognose, ma proprio per questo assume grande valore culturale e storico, creando un fermo immagine, un’istantanea cinematografica che può essere tranquillamente paragonata ai migliori film italiani degli anni 60, quando con un triste sorriso si parlava dell’Italia del passato e del presente.