Don’t Look at the Demon: recensione dell’horror diretto da Brando Lee
Un horror che spaventa ma a tratti non convince, con una trama macchinosa e non sempre coerente con le premesse iniziali.
Don’t Look at the Demon è il film horror diretto da Brando Lee e distribuito da 102 distribution in uscita nelle sale italiane a partire dal 17 agosto 2023. Una storia di possessione, fantasmi e demoni ambientata nel profondo della vegetazione malese, in provincia di Kuala Lumpur, vede come protagonisti una troupe di giovani acchiappafantasmi alla ricerca di notorietà. La guida spirituale, letteralmente una sensitiva che percepisce gli spiriti e i demoni che il gruppo di ragazzi film con attenzione per creare una trasmissione “virale”, è la tormentata Jules. La donna ha un passato burrascoso, una sensibilità senza precedenti che la connette con il mondo delle ombre e dei dannati, un senso di colpa per aver perso la sorella da bambina durante la seduta spiritica che l’ha cambiata per sempre.
Jules chiama i mostri, i mostri chiamano lei, ed in questa dinamica si tormentano a vicenda. Quando una famiglia chiede l’aiuto della troupe, però, anche un’esperta del paranormale come lei si trova a dover chiedere aiuto ad un monaco locale. La presenza che abita la casa di Ian e Martha, futuri genitori che hanno iniziato ad avvertire strani fenomeni nella loro abitazione, è malefica e nasconde un segreto indicibile. Jules potrebbe ritrovarsi davanti il suo passato, con la sfida di poterlo – forse finalmente – sconfiggere e dimenticare.
Un horror che inquieta ma non convince appieno
Don’t Look at the Demon è un film che può contare sulla perfomance piuttosto convincente della sua protagonista Fiona Dourif nel ruolo di Jules, sensitiva suo malgrado, anima tormentata che connette l’aldilà e l’aldiqua. Tuttavia, il resto del cast non è in grado di supportare in modo altrettanto convincente la sua performance, circondandola di interpretazioni poco sentite che scadono talvolta nel ridicolo. A mancare, nonostante diverse jump scare da brividi, è una colonna portante tematica e una sceneggiatura che regga in modo efficace tutta la storia. I colpi di scena che vogliono sorprendere e terrorizzare lo spettatore non solo altro che tentativi, più o meno riusciti, di mettere a tacere le critiche sulla mancanza di coerenza e coesione del plot.
Per quanto il finale possa cogliere di sorpresa il pubblico meno attento ai dettagli di trama, resta evidente una ingenuità di base nella sceneggiatura che viene tradotta in una scarsa riuscita della messa in scena nei suoi nodi cruciali. L’immaturità di alcune scelte viene compensata, però, da un senso innato del divertimento e del macabro che restituisce almeno la premessa di un racconto tortuoso, inquietante e senza pietà per spettatori e personaggi.
Brando Lee, regista originario di Kuala Lumpur imbottito di pellicole hollyoodiane classiche come Lo squalo e L’esorcista, riesce in qualche modo a rendere la sua opera imperfetta un terrificante viaggio nella mitologia malese nelle sue sfumature più cupe e inquietanti. L’immaginario horror di una cultura lontana e misteriosa si fonde e confonde con la cultura pop che ha formato il suo regista, creando un connubio che avrebbe potuto essere interessante con più attenzione e cura della coerenza. Lee, come appare chiaro delle sue scelte stilistiche, si è formato negli States, preciamente al Columbia College di Hollywood specializzandosi in Cinema e TV. Lavora, con la sua casa di produzione, a Los Angeles, trovando il modo di conciliare la sua passione per il cinema classico e la sperimentazione.
La ricerca dello stile è chiara in questa opera ancora acerba che promette tanto divertimento in un futuro episodio che potrebbe persino trasformare la bozza iniziale in un franchise. La pellicola, a modo suo, trova linguaggi e codici di comunicazione che arrivano al pubblico, riuscendo a trovare i giusti segni che intrattengono i fan del genere ma anche gli scettici.
Don’t Look At the Demon: valutazione e conclusione
Un film horror con qualche momento di gloria e molti punti deboli, la pellicola di Brando Lee riesce tutto sommato a raccontare una storia del terrore che ricalca alcune antiche usanze malesi. Un concentrato di macabro divertimento, nonostante l’esecuzione imperfetta, resta un tentativo nel genere che può fornire da spunto per un futuro franchise che ha la protagonista Jules come centro e perno. Accompagnata da interpreti più forti, in grado di spalleggiare con realismo la performance decadente e fragile di Fiona Dourif, Jules è un ottimo inizio per dare vita ad una nuova serie di horror con una potente eroina femminile.