Don’t Move: recensione del thriller Netflix
La recensione del survival movie dalle venature thriller prodotto da Sam Raimi per la regia di Brian Netto e Adam Schindler. Dal 25 ottobre 2024 su Netflix.
Dopo avere letto i nomi e cognomi di coloro che sono stati coinvolti in Don’t Move, il survival movie dalle venature thriller approdato su Netflix lo scorso 25 ottobre 2024, non si può non essere invogliati alla visione. Se nei credits del film ci sono figure come Sam Raimi nelle vesti di produttore, la coppia Brian Netto e Adam Schindler in cabina di regia e attori di talento quali Kelsey Asbille e Finn Wittrock, allora le possibilità di assistere a un film degno di nota sono piuttosto alte. Suo e nostro malgrado però la fruizione sulla piattaforma a stelle e strisce ha dimostrato il contrario, facendo della pellicola in questione l’esempio perfetto di come uno spunto di partenza potenzialmente buono e un cast dignitosissimo vadano sprecati.
Il racconto di Don’t Move ruota intorno all’odissea di una vittima impossibilitata a muovere anche un solo muscolo per difendersi
Cominciamo con il dire che il tallone d’Achille dell’operazione risiede principalmente nella sceneggiatura scritta a quattro mani da T.J. Cimfel e David White. L’idea sul quale si fonda il plot non brilla di certo per originalità, eppure le aspettative iniziali non sono venute. Se pensiamo infatti a Monkey Shines, Wrecked, Il cerchio delle lumache o a Il collezionista di ossa, passando per Midsommar e l’indimenticabile capolavoro di Wes Craven, Il serpente e l’arcobaleno, il costruire il racconto su e intorno all’odissea di una vittima impossibilitata a muovere anche un solo muscolo per difendersi è stata sfruttata decine di volte. Quelli citati sono alcuni esempi di film che condividono con Don’t Move questa e altre analogie nella trama. Qui troviamo infatti una donna in fuga lottare per salvarsi la vita da uno sconosciuto psicopatico e pluriomicida, che rapisce e uccide le sue prede, prima che una sostanza paralizzante che le è stata iniettata faccia effetto e spenga il suo corpo. La cornice di questa che è contemporaneamente una battaglia per la sopravvivenza e contro il tempo non poteva non essere che un bosco. E anche in questo caso l’ambientazione scelta non è nuova per vicende che hanno come baricentro narrativo e drammaturgico la caccia alla preda di turno da parte di uno o più malintenzionati. Alla protagonista non resta quindi che correre, combattere e nascondersi per l’intera durata della timeline.
La sceneggiatura è il tallone d’Achille del fi, mentre la confezione e le interpretazioni dei due protagonisti i punti di forza
Il tutto si consuma tra la fitta vegetazione di una foresta e delle rocce a strapiombo sul nulla, con la natura selvaggia che rappresenta una terza minaccia da fronteggiare. Ma non è tanto la serie di analogie rintracciabili a depotenzializzare l’operazione, quanto le dinamiche che si vengono a creare tra la preda e il cacciatore, rispettivamente una madre in lutto e un killer manipolatorio. Se i motivi che hanno portato la prima nel posto giusto al momento sbagliato arrivano forti e chiari, diversamente quelli che muovono le azioni del secondo, anche di fronte all’evidente pericolo di essere scoperto da qualcuno, restano irrisolte. Ed è questo nodo lasciato insoluto, a nostro avviso cruciale per la credibilità della vicenda, che pesa come un macigno sul risultato e sul destino del film. Peccato perché la regia, ben supportata dal montaggio e dalla fotografia di Zach Kuperstein, riesce a creare sia un discreto ritmo che una certa suspense, così come le interpretazioni della Asbille e di Wittrock contribuiscono a dare un giusto livello di tensione alle scene. In particolare l’attrice, già apprezzata in Yellowstone nel ruolo di una nativo americana, riesce nel difficile compito di recitare per gran parte del film solamente con lo sguardo e con un corpo privo di movimenti.
Don’t Move: valutazione e conclusione
Nonostante una regia ispirata, la presenza di Sam Raimi in produzione, una confezione fotografica di buona fattura, un montaggio capace di conferire al tutto ritmo e una buona tensione, Don’t Move paga le mancanze drammaturgiche e le moltissime imprecisioni della sceneggiatura. Quest’ultima è il tallone d’Achille di un film che rappresenta la classica occasione persa, per la quale lo spettatore deve purtroppo farsene una ragione.
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