Dov’è il mio corpo? – recensione del film Netflix
Poesia e sorprendente animazione si mescolano in Dov'è il mio corpo?, il film dell'animatore francese Jérémy Clapin che, senza rispondere mai davvero a nulla, ci apre a uno scrigno infinito, profondo e inestricabile di possibilità.
Dov’è il mio corpo? è film d’animazione francese, presentato al Festival di Cannes all’interno della Semaine de la Critique, da poco disponibile su Netflix. Esordio nel lungometraggio di Jérémy Clapin, Dov’è il mio corpo? è tratto dal romanzo Happy Hand di Guillaume Laurant, romanziere e sceneggiatore (Il favoloso mondo di Amélie), ed è interpretato da Victoire Du Bois, Patrick d’Assumçao e Hakim Faris.
Parigi. Naoufel (Hakim Faris) è un ragazzo delle banlieue, un fattorino un po’ sbadato che lavora per un pizzeria. La sua vita nella periferia parigina sembra piuttosto triste. Dopo essersi innamorato di una giovane bibliotecaria, Gabrielle, rischia tutto per cercare di rimettersi in contatto con lei. Dall’altra parte della città, una mano mozzata fugge da un laboratorio e intraprende un viaggio per riconnettersi con il suo corpo.
In Dov’è il mio corpo? la vita di una mano recisa si intreccia a quella di Naoufel
La mano recisa è un flâneur che si fa strada attraverso Parigi
Esteticamente il film ha la particolarità di essere sommerso dai colori; c’è una scelta precisa nel prediligere colori asciutti, sintetici, il tutto impreziosito da una buona dose di animazione disegnata a mano. L’uso del colore è finalizzato per rafforzare i temi dell’alienazione, del ricordo e dei rapporti umani, tematiche attorno alle quali Jérémy Clapin costruisce un lungometraggio che cammina su due binari temporali ben distinti, un arco temporale narrativo che si sposta costantemente avanti e indietro.
Dov’è il mio corpo? è pieno di effetti visivi sorprendenti
La particolarità di molte scene è che sono quasi completamente prive di dialoghi: le parole spesso non servono affatto, il dialogo è profondamente sintonizzato sulla natura fredda e combattiva della vita urbana, accattivante, travolgente, dura. Dov’è il mio corpo? non è tanto una storia d’amore quanto una storia su come affrontiamo una tragedia, una meditazione profonda sulla separazione, sul dolore, una storia originale e stravagante che riesce a toccare il cuore.
La storia non offre un finale conclusivo, neanche lontanamente; sceglie contrariamente di terminare il suo viaggio con una scena emblematica, in cui tutti i pezzi e i segmenti narrativi riescono in un certo senso a trovare una direzione coerente. Naoufel è uno scrigno di pensieri, dolori e rimpianti che sono rinchiusi negli oggetti, come il suo registratore di cassette d’infanzia, nei suoi ricordi, nella vista della città dal tetto di un edificio abbandonato, in un gesto, nel coraggio di tentare un’impresa irrazionale. Dov’è il mio corpo?, senza rispondere mai davvero a nulla, ci apre a uno scrigno infinito, profondo e inestricabile di possibilità.