TFF37 – Dreamland: recensione del film con Margot Robbie
Dreamland è il film con protagonisti Margot Robbie e Finn Cole diretto da Miles Joris-Peyrafitte che si destreggia tra gangster, mitologia criminale e fascinazione.
Fascinazione e rivisitazione del mito. Quello dei gangster, dell’eccitamento che li circonda, della mitologia che si portano appresso e che si irradia tra le generazioni, si dilata fino a raggiungere altre contee, altre terre e, pur ripetendosi uguali, pur ripercorrendo tra loro similari tappe, porta in ogni racconto diverse sfumature. Lati della leggenda che contraddistinguono ogni fuorilegge e criminale, donandogli la propria personale aurea e quella seduzione che li incastonerà per sempre nella tradizione.
È un’altra versione del mito quella che Miles Joris-Peyrafitte stravolta offre, che ripercorre delle prassi consuete che intercorrono tra le varie storie, ma che al contempo ribaltano le ripetizioni del genere, per incentrarsi sulla figura del gangster al femminile, facendone nell’immaginario comunque il nemico da inseguire e, da chi ne è sempre stato abbagliato, da emulare. Dreamland è la fuga della ladra di banche Allison Welles e di tutto ciò che, negli stilemi delle narrazioni classiche, circonda l’epopea tipica del simbolo della criminalità e del male. Il bandito di cui si cantano le gesta e di cui i ragazzini leggono sulle riviste, traendo dalle pagine l’incanto per quegli ideali di forza e libertà, che si faranno concreti nell’incontro del giovane Eugene con la bella fuggitiva.
Dreamland – La gangster story con Margot Robbie
Nasce infatti dalla carta l’amore che Eugene (Finn Cole) prova per la bella Welles (Margot Robbie). Prima ancora di conoscerla, di incontrarla per la prima volta nascosta nel loro fienile. Perché era leggendo del suo mondo che il ragazzo se ne innamora, rubando le riviste dal negozio e imprimendo nella propria mente le azioni dei malviventi e dei farabutti che lo popolano. Era sognando di diventare come i suoi eroi che, alla fine, Eugene si scontrerà con una di loro, non rievocandone soltanto le imprese, ma potendone far parte a propria volta. Il desiderio che prende sostanza e che si fa possibilità concreta per l’amante delle gangster stories, che espanderà così la propria passione per quei brutti ceffi, amandone e proteggendone una a sua volta.
Ottenere ciò che si è sempre desiderato, uno dei risvolti più pericolosi dell’esistenza. Lo sa bene il personaggio di Eugene di Finn Cole, mentre guarda con brama la donna ferita dentro al proprio magazzino di famiglia e ansioso di poter condividere il senso di indipendenza e di gloria insieme a lei. È del riflesso che gli individui e le storie hanno su noi stessi che tratta Dreamland, di quel poter entrare a far parte della schiera di autorità per noi immutabili, di cui si canta nelle canzoni e si scrivono, nello scorrere del tempo e degli anni, favole e libretti. L’elaborazione della leggenda e il suo prendere corpo con carne e sangue mette in concomitanza reale e mitico, aspettative e conseguenze, spingendo il protagonista al coinvolgimento totale nella ricerca di salvezza verso il Messico della fuggiasca Welles, sfidando la legge e rischiando di non riavere più la sua vecchia vita, ma potendo entrare ufficialmente, dopo fantasticherie a occhi aperti, nella leggenda.
Dreamland – La regia raffinata di Miles Joris-Peyrafitte per una sceneggiatura non alla sua altezza
Se il concetto alla base di Dreamland permette al film una riflessione accurata, che porta allo svolgersi delle vicende mostrate, è nella scrittura passaggio per passaggio, battuta per battuta che non si ritrova la medesima rilevanza, scadendo a più tratti e intralciando il proprio stesso racconto, pur portandolo a termine con coerenza narrativa e uniformità formale. Un grande dispiacere vista la regia raffinata di Miles Joris-Peyrafitte, un talento delicato anche in una storia di gangster, che tenta soluzioni eleganti nonostante la frenesia delle corse e l’impurità delle coscienze. Le distese dell’opera di Joris-Peyrafitte si perdono alla vista per essere poi alternate a ricordi mai esistiti, ad aspettative che modificano il formato cinematografico e diventano cartoline di un passato mai avvenuto o di un futuro che potrebbe non esistere in nessuno spazio. Rendere i significati e le speranze dei personaggi della pellicola attraverso il montaggio; un lavoro, quello del regista, che si stacca, dunque, dalla stesura dello sceneggiatore Nicolaas Zwart, e che si ha la speranza di poter rivedere su di un’operazione di scrittura ben degna per la propria mano.
Dreamland è quel luogo in cui trasformarsi in icona, dove aspirazioni e vita vera si incrociano per veder bruciare una nuova stella. Un film che potrebbe allinearsi alle ambizioni del proprio protagonista, ma, a differenza di questo, non raggiunge il suo traguardo, continuando a poter sognare, ma dovendo alla fine tornare alla dura realtà.