Drop – Accetta o Rifiuta: recensione del film di Christopher B. Landon

Un’operazione nostalgia estremamente rischiosa, che indaga il virtuale con lo sguardo di un tempo, ormai fuori luogo, remoto e talvolta involontariamente comico. L’intreccio però regge e la dinamica è buffa abbastanza da riuscire a coinvolgere, intrattenere e divertire. In sala da giovedì 17 aprile

In linea, o dovremmo dire, on line con l’assassino. Il rimando al film di Joel Schumacher non è casuale, poiché Drop – Accetta o Rifiuta, l’ottavo lungometraggio da regista di Christopher B. Landon, autore tra gli altri del sottovalutato eppure fenomenale Manuale scout per l’apocalisse zombie, non è altro che un’operazione nostalgia. Un tentativo maldestro, ma tutto sommato appassionato e convincente, di riproporre quel medesimo modello di high concept movie, già appartenuto al film di Schumacher e così a moltissimi altri a cavallo tra fine anni ’90 e primi ‘2000, tentando dove possibile di aggiornarlo, un po’ guardando all’oggi, un po’ guardando a domani. Drop è al cinema a partire da giovedì 17 aprile 2025, distribuzione a cura di Universal Pictures.

Un high concept movie che guarda al passato

Drop: recensione del film di Christopher B. Landon

Come detto, affidandosi alla scrittura di Jillian Jacobs e Chris Roach, così come alla produzione esecutiva di Michael Bay e Jason Blum, l’autore dei due ottimi capitoli di Auguri per la tua morte – altra rivisitazione estremamente nostalgica di un certo cinema horror anni ’80, sospeso tra dimensione comedy e splatter – tenta nuovamente l’impresa dell’operazione nostalgia. La via è quella di Minuti Contati di John Badham, del precedentemente citato In linea con l’assassino di Joel Schumacher e inevitabilmente Panic Room di David Fincher, titolo che Landon cita nemmeno troppo sottilmente, in compagnia di molti altri. Torna la questione degli spazi claustrofobici, dell’impossibilità d’agire poiché osservati e il significato profondo di istinto di sopravvivenza, quando anche il male rischia di sfumare sempre più, apparendo cosa da poco, se non addirittura da nulla.

Cos’è che può condurre una persona buona al compimento del male? Il ricatto e il pericolo, che non riguarda in alcun modo il protagonista avveduto, bensì l’innocente, che inconsapevole della trappola e della violenza prossima a svelarsi, rischia ogni minuto – anzi, secondo – di più, di perdere la vita. Nel frattempo le regole e il gioco sadico, al quale l’eroe e il villain di turno si prestano dapprima disperatamente e poi con fare via via più minaccioso e al tempo stesso seducente. Un high concept movie che forzando spazi e ambienti, costringe gli individui a svelarsi per ciò che sono, svestendoli delle maschere e mettendone a nudo fragilità, menzogne e incoerenze.
Accade lo stesso a Violet Gates (Meghann Fahy) psicoterapeuta reduce da un doloroso passato di violenze domestiche, disposta ora più che mai a rimettersi in gioco, nonostante la crescita del figlioletto Toby, inevitabilmente traumatizzato dai trascorsi familiari e dagli spazi di quella casa, ora in tutto e per tutto dialoganti con la libertà, mentre in precedenza esclusivamente con la prigionia. Per Violet però, la libertà non coincide esclusivamente con il suo ruolo ora assolutamente protetto di madre di famiglia, ma anche con un primo appuntamento finalmente romantico e atteso. A desiderarlo è il fotografo Henry Campbell (Brandon Sklenar), che Violet ha conosciuto online su una delle numerosissime app di dating. Il tempo di una cena però si rivelerà fatale, tanto per Violet, quanto per Henry. Usciranno vivi dal loro primo appuntamento o sarà la fine?

La paura svanisce, il bizzarro prende piede in Drop, il film di Christopher B. Landon

Al netto di qualche riuscita strizzata d’occhio, sia a livello di sguardo, che di linguistica, a quel cinema precedentemente richiamato, il rischio che Landon e i suoi autori corrono, senza tuttavia riuscire a coglierlo – o almeno così pare – è l’incapacità di fotografare con il giusto rispetto e perché no, perfino sagacia, gli effetti che gli strumenti virtuali del presente di fatto producono in circostanze di tensione e limitazione degli spazy, così come di privacy. Per questa ragione i numerosi escamotage adottati dallo script, non possono far altro che apparirci fuori tempo massimo, in quanto adagiati su vecchie certezze e osservazioni, ormai messe in discussione, fino alla loro rimozione più totale. Si ripesca dunque dall’oblio, ritrovando il remoto, impossibilitato a dialogare con l’oggi. La paura svanisce, il bizzarro prende piede.

Gli smartphone infatti, protagonisti assoluti del film al pari dei due interpreti principali Fahy e Sklenar, non sono mai effettivamente tali. Non sono gli strumenti con i quali viviamo le nostre vite giorno dopo giorno, tra connessioni che nulla e nessuno può arrestare ed errori inavvertiti e impronosticabili di varia natura, capaci di minare improvvisamente, anche il più impeccabile e sadico piano ordito dal villain spaventosamente e goffamente sedotto dal binomio violenza e morte. Quelli che osserviamo per tutta la durata del film non sono smartphone, inutile girarci attorno. Ritroviamo i telefoni di un tempo, dunque estremamente limitati, se non addirittura inutili. Però, al contrario di ciò che Landon e autori possano credere, l’inquietudine feroce e così l’angoscia generata dai lungometraggi di Badham, Schumacher e Fincher, non deve la sua riuscita esclusivamente a meriti di narrazione e sguardo, bensì di appartenenza ad un tempo dalle variabili limitate, oggi dilatate e complesse più che mai.

DropAccetta o Rifiuta : valutazione e conclusione

Qualcuno potrebbe definire Drop come un lungometraggio gustosamente vintage e retrò, da qui le numerose citazioni, da qui la volontà di rifarsi ad un tempo altro. Per certi versi è vero, poiché l’intrattenimento non manca, tra tensione, adrenalina e momenti buffi. Quella del film di Landon è una dimensione sospesa tra rom-com e cinema action, sempre più irrintracciabile nella produzione globale d’oggi. Eppure non è sufficiente. È altrettanto vero infatti, che l’operazione nostalgia quando fine a sé stessa e malamente supportata da una solida stilistica e narrazione, qui sempre più evanescente, se non addirittura assente, rischia ben presto di crollare, costringendo gli spettatori alla noia e all’abbandono.
DropAccetta o rifiuta questo rischio lo ha corso solo in parte. Non abbastanza da considerarsi riuscito. Non così tragico da considerarsi remoto, o peggio, dimenticabile. L’esperienza è buffa, coinvolge tutti, nessuno escluso. A patto di staccare il cervello.

Regia - 3
Sceneggiatura - 2
Fotografia - 3
Recitazione - 3
Sonoro - 3
Emozione - 3

2.8