Venezia 73 – Drum (Tabl): recensione del film di Keywan Karimi
A Venezia 73 è stato presentato Drum (Tabl), un film di Keywan Karimi, trentenne curdo-iraniano noto per il suo Writing on the city (2012), lavoro per cui venne accusato di propaganda contro il governo e insulto all’Islam. Accusa che gli impone ad oggi la permanenza forzata in Iran; l’opera è stata presentata alla Settimana della Critica.
Drum è un film in bianco e nero, povero di suoni, di dialoghi, forgiato su una claustrofobia visiva, lentissimi movimenti di macchina, quel lato documentaristico presente anche in Writing on the city, sviluppato attorno alle vite di un avvocato e di un tossico.
I personaggi non hanno nome, abitano in una città abortita, Teheran sembra aver subito una collisione con una meteora, gli unici rumori sono i tamburi durante una cerimonia, gli scavi, la radio che spesso trasmette Ahmadinejad o un confronto tra militanti politici che dialogano della presunta ricchezza dell’Iran.
Questo avvocato, che vive e lavora in un appartamento scarno e decaduto, riceve la visita di un uomo che gli consegna un pacco misterioso, per lui quell’oggetto diventa un pericolo serio, poiché diversi soggetti pericolosi cominciano a girare attorno al suo appartamento e gli intimano di consegnarlo prima che cada in mani sbagliate. Lui non lo apre mai (esempio di MacGuffin) anzi prova a nasconderlo irrompendo in casa di un amico o affidandolo alla sua ragazza.
La storia non progredisce mai realmente finché la sua ragazza non viene pugnalata (scena che non viene mostrata); il medico, che non nasconde bene la menzogna, attribuisce quell’omicidio ai soliti stupratori di periferia, senza grande preoccupazioni o tatto riferisce quel poco che può ad un uomo distrutto e silente. Le irruzioni negli appartamenti si susseguono, il suo migliore amico, che ha anche qualche rotella fuori posto (dialoga spesso con il colletto della sua camicia), finisce in manicomio e tutto l’horror vacui delle scene che lo vedono vagabondare da un posto all’altro, perseguitato e solo, fa scattare in lui qualcosa che lo porta ad un faccia a faccia con i malviventi, fino all’elaborazione di un piano di vendetta.
Drum è una pellicola geniale, atemporale
Tratta da un libro di Alimorad Fadaienia, che descrive come può una metropoli come Teheran, dagli ’60 ad oggi, essere stata traviata dalle speculazioni edilizie, dalla sola voglia di rinascere sotto l’ombra del potere e della ricchezza petrolifera.
L’uso del bianco e nero non è un mero esercizio di stile o un modo elegante di presentarsi o colmare alcune lacune qua e la, anzi il regista ne fa un uso particolare e suggestivo, andando ad enfatizzare l’ambivalenza dei personaggi, gli enormi paradossi che si susseguono tra un fotogramma e l’altro.
Molte scene sono caratterizzate da un tipo di sonoro ultra diegetico, assoluto e continuo, gli accadimenti sono preannunciati o dichiarati tramite i rumori, mai inquadrati o solo accennati tramite atmosfere espressioniste, premonitrici, come la morte della compagna del protagonista e molte delle scene finali tra i palazzi abbandonati.
Quei suoni, quei rumori, sono l’unico ritmo della pellicola, i dialoghi sono scarni e fanno cogliere molto poco, alcune volte si sentono discorsi sconnessi alle immagini, l’atemporalità della pellicola è data anche dal suono che blocca il flusso naturale delle scene, l’assenza di un colore, di una storia in reale divenire fa perdere totalmente il senso del tempo, il passato e il presente attraversano Drum e lo avvolgono confondendosi l’uno con l’altro.
Si può quasi dire che il bianco e nero orbita sulle immagini non come un segno distintivo ma come l’assenza di un tempo in cui presentarsi.
La cosa che viene mostrata maggiormente è proprio la demistificazione di Teheran, gli edifici distrutti, le luci lontane e opache, una periferia condizionata e martoriata da malviventi e da un architettura apolide, tutto questo è il lato taciuto della vita del regista, protagonista direttamente coinvolto nella distruzione culturale di una città e della sua periferia che invece di consolidare le sue tradizioni e la sua forza, si è lasciata illudere dalla ricchezza, impoverendo il proprio valore più alto, il suo ambiente, sempre più orfana della sua storia.