Venezia 78 – Dune (2021): recensione del kolossal sci-fi di Denis Villeneuve
Finalmente è stato presentato a Venezia Dune, diretto da Denis Villeneuve. Il film è l'adattamento di uno dei romanzi di fantascienza più famosi al mondo.
Denise Villeneuve riporta sul grande schermo il grande cinema sci-fi con il nuovo adattamento di Dune, pietra miliare della narrativa di fantascienza scritta nel 1965 da Frank Herbert. Il regista canadese non è nuovo al genere fantascientifico, che aveva già affrontato, dimostrando conoscenza della materia, in Arrival e Blade Runner 2049. Villeneuve porta l’imponenza di un cinema vecchio stampo, con un progetto costato 165 milioni di dollari, che prova a far nascere una nuova saga di successo. Quello che gli spettatori troveranno in sala a partire dal 16 settembre è infatti propedeutico a un prosieguo, la prima parte di una saga che dovrebbe contare in tutto 2 episodi.
Questo del 2021 non è il primo adattamento di Dune: il primo tentativo fu avanzato da Alejandro Jodorowsky, di cui restano solo i bozzetti perché la produzione non prese il via, il secondo andato a segno fu quello di David Lynch che nel 1984 adattò le pagine del romanzo, dando vita ad uno dei flop più famosi della storia del cinema.
Dune: la trama
Il pianeta Arrakis, anche noto come Dune, è un pianeta desertico, dove l’acqua scarseggia e unico posto al mondo dove nell’aria esiste una sostanza chiamata spezia, polvere psicoattiva che aumenta le capacità cerebrali, inebria, è ottima per la salute ed è anche necessaria per affrontare i viaggi interstellari. Da millenni le grandi casate si alternano sul pianeta per estrarre la spezia e rivenderla a prezzi altissimi: qualcosa di buono che come sempre viene piegato ai vili interessi capitalistici. Ora l’imperatore ha assegnato alla casata degli Atreides, nota per essere da sempre leale all’impero e di prendere scelte giuste, l’amministrazione di Arrakis per portare pace e prosperità su un pianeta in cui gli autoctoni, i Fremen, sono oppressi e costretti a nascondersi sotto il sole estenuante del deserto. Il trasferimento degli Atreides da Caladan, loro pianeta d’origine, ad Arrakis è in realtà l’origine di un complotto politico ad opera degli Harkonnen, precedenti governatori di Dune, che mirano a distruggere la linea genetica degli Atreides e prendere il pieno controllo del pianeta per ingrassare le loro casse.
L’adattamento riesce a cogliere l’essenza del romanzo, rendendogli giustizia
Villeneuve e i suoi sceneggiatori, Jon Spaihts ed il premio Oscar Eric Roth (Forrest Gump), hanno seguito in modo fedele il romanzo. Poche e buone sviate rispetto al libro, come la scelta di inserire un incipit, per spiegare agli spettatori il quadro in cui si muovono i tanti personaggi del film ed evitare loro il disorientamento. Anche le accelerazioni sono ridotte all’osso, da qui la scelta di spaccare in due la storia (in fondo il romanzo è già di suo diviso in due) dando ampio respiro alla narrazione. Scelta azzeccata che permette di procedere in modo ordinato, senza eliminare i ricchi dettagli che hanno reso il romanzo di Herbert amatissimo, ma soprattutto di gettare le basi per l’inizio di una nuova saga sci-fi. Alla fine di questa prima parte la promessa è che “il bello deve ancora arrivare”.
Dune è uno Sci-fi d’autore
A differenza dei blockbuster contemporanei, Dune sceglie di procedere adagio senza sottostare a logiche di intrattenimento che tiranneggiano sul timing del film (la pellicola dura 2 ore e mezzo), e inoltre di giocare in sottrazione anche nei momenti action. Che sia chiaro, l’imponenza delle scene di assalto e di guerra sono maestose e grasse, ma c’è una grande pulizia nella messa in scena. Gli effetti speciali beneficiano di una CGI adulta e non invadente, i duelli pochi ma buoni e anche brevi, considerando quanto i blockbuster marciano sulle scene stunt. Il film in generale dà precedenza alla costruzione dei personaggi e delle ambientazioni, rispetto alla bulimia di scene action fini a loro stesse.
Una storia attuale che parla di capitalismo e ambientalismo
La saga degli Atreides, a 56 anni di distanza dall’uscita del romanzo di Herbert, è ancora attualissima. La scarsità dell’acqua su Arrakis e le politiche espansionistiche delle casate più forti per accaparrarsi la spezia, sembra richiamare alla mente le problematiche ambientaliste e il colonialismo guerrafondaio della nostra contemporaneità. Lo stile scelto da Villeneuve, futuristico ma non troppo, asciutto e con zero sbavature, di sicuro maestoso ma molto serio, riporta col pensiero ai reportage di guerra che si vedono ai telegiornali, con panorami di città infuocate e soldati in assetto da rappresaglia. La lucidità e la vicinanza ad un’estetica militare e realistica (che ricorda a tratti alcuni momenti di Sicario) non permette però di viaggiare con la fantasia.
Troppa serietà e poca epicità?
Se un difetto dobbiamo trovarlo a questa trasposizione di Dune allora è forse l’eccessiva vicinanza alla realtà contemporanea che fa perdere quell’epica e quell’apertura di un immaginario fantasioso, tanto ricercate dagli amanti del genere. La scelta di introdurre la storia con lentezza narrativa, scenografie ispirate a paesaggi reali, come quelli di guerra afghani, i costumi high tech che non lasciano niente al caso propendono per la linea della serietà, completamente distante dalla visione che aveva avuto invece David Lynch, che nella scelta della messa in scena si avvicinava maggiormente al fantasy. Eppure lo stile di Villeneuve è altamente riconoscibile: la sua cifra stilistica razionale, riflessiva e sempre coerente rappresenterà un rischio altissimo per il successo al botteghino per un pubblico che propende per l’intrattenimento duro e puro e per emozioni più travolgenti? Attualmente non è ancora dato sapere se la seconda parte di Dune è in cantiere. Speriamo quindi che l’apprezzamento del pubblico sia caloroso, perché sarebbe un vero peccato non far continuare questo bellissimo inizio.