È andato tutto bene: recensione del film di François Ozon
Il viaggio difficile di due figlie che devono aiutare il proprio padre a morire. È andato tutto bene, il nuovo film di François Ozon nelle sale italiane dal 13 gennaio 2022 per Academy Two, affronta un tema delicatissimo come il suicidio assisitito con rigore e leggerezza.
Adattando l’omonimo romanzo autobiografico di Emmanuèle Bernheim, con È andato tutto bene, in sala in Italia dal 13 gennaio 2022 per Academy Two, il regista francese François Ozon prende di petto un tema di inusitata delicatezza come il suicidio assistito. Inseguendo i suoi fantasmi con rigore, decoro d’impostazione e qualche sprazzo di poetica leggerezza. Quest’ultima è la concessione del talento elegante e sornione di André Dussolier, il padre doloroso del racconto, che messo di fronte a una prova dura come poche fa alle figlie LA richiesta. In realtà la fa a una delle due, non è quello che si direbbe un padre modello e ci gode un po’ a seminare zizzania. La figlia in questione la interpreta Sophie Marceau.
È andato tutto bene arriva nei cinema italiani, con i suoi salutari cazzottoni emotivi e il suo ritratto di una famiglia sottosopra, qualche mese dopo il passaggio in concorso al Festival di Cannes 2021.
È andato tutto bene: un soggetto e una storia vicini al cuore di François Ozon
François Ozon non ha dovuto fare il giro del mondo per trovare lo spunto per il suo nuovo film. Da qualche anno Emmanuèle Bernheim non c’è più. Per Ozon ha anche sceneggiato, Swimming Pool, un esempio importante. Ha quindi ragione chi, parlando di È andato tutto bene, ha tirato in ballo la parolina magica, fantasmi. Ce ne sono molti, dentro e fuori scena. E se non altro, il vincolo morale e sentimentale che intreccia autore e storia ha sicuramente aiutato a tenere la bussola morale del film orientata in direzione di una solida moralità. Che in percorsi del genere non è un’opzione tra le tante, è l’unica strada che meriti di essere percorsa.
André (André Dussolier) non ha mai capito bene com’è che si faccia il padre. Eppure, amato e coccolato, neanche poco, dalle figlie Pascale (Géraldine Pailhas) ed Emmanuèle (Sophie Marceau). Il meteo emotivo della tribù non promette niente di buono in tempi normali, figuriamoci in piena emergenza. Non contribuisce a rasserenare il quadro una madre depressa e affetta da Parkinson (Charlotte Rampling), mentre fa quello che può il buon Serge (Éric Caravaca), il marito di Manu, così la chiama il padre. Ci sarebbe anche un’altra sorpresina, ma quella si scopre con il film.
Un padre chiede alla sue figlie di aiutarlo a fare qualcosa di molto, molto importante
André è colpito da un ictus. Le figlie accorrono al capezzale, pronte a tutto pur di venire incontro ai desideri del padre. Il padre, però, chiede di essere aiutato a morire. Lo chiede ad Emmanuèle, già detto, e le due donne sospettano si tratti dell’ennesimo scherzetto dell’uomo, spaventosamente egoista e incapace di misurare fino in fondo l’impronta lasciata dal suo cammino sulla vita degli altri. La regia di Ozon corre su due binari: da un lato, È andato tutto bene fa la radiografia di un corpo vecchio e malato e di uno spirito affamato di libertà. Dall’altro, sceglie di esplorare l’impatto di una bomba atomica sulla vita di una famiglia. André ha tutto il diritto di scegliere il destino che più gli si addice, ma non capisce o non vuole capire il segno lasciato sul mondo intorno dal suo coraggio e dalla sua cocciutaggine. A un certo punto, perché le figlie, pur con il cuore spezzato, decidono di non girarsi dall’altra parte, spunta fuori una donna svizzera che può dare una mano (Hanna Schygulla).
Dussolier-Marceau: un passo a due per un film al tempo stesso doloroso e leggero come una piuma
Per gran parte della sua durata, È andato tutto bene sceglie il profilo del passo a due. L’incontro-scontro la personalità indisponibile al compromesso di un André Dussolier che tiene con agilità il piede in tre staffe, rabbiosa, patetica e, perché no, malinconicamente divertita. E il cuore in tumulto di Sophie Marceau, che deve imparare ad accettare l’inevitabile due volte. La prima quando trova il coraggio di dire di sì alla richiesta paterna, la seconda quando ne afferra fino in fondo il senso.
François Ozon sceglie la via della cronaca dei piccoli e grandi tumulti quotidiani che accompagnano una scelta grande quanto la vita. Prende di petto il problema, non cerca scappatoie ideologiche e sceglie di mettersi al fianco e tutt’intorno ai suoi protagonisti. Mai sopra o sotto. Il suo film ha un fascino elegante ma non morboso, un fondo di integrità “sporcato” da lampi di leggerezza. Sa da dove parte e dove vuole arrivare. Il viaggio e la meta stavolta contano allo stesso modo, e allo stesso modo sono restituiti. Con dignità e partecipazione. Non è poco.