È stato tutto bello – Storia di Paolino e Pablito: recensione del documentario
Il documentario firmato da Walter Veltroni è un caleidoscopio dedicato a Pablito e all'Italia che non c'è più.
Paolo Rossi. Esiste un nome più italiano di questo? Più connesso alla nostra storia degli ultimi decenni? No. Non esiste, ancora oggi tantissimi nostri connazionali si fregiano di un nome che richiama alla memoria personaggi unici. È stato tutto bello – Storia di Paolino e Pablito di Walter Veltroni ce lo ricorda fin dai primi istanti, ci parla dello studente che fu ucciso a La Sapienza, vi è l’ex membro di spicco del Partito Socialista Democratico, vi è anche il Paolo del “Era Meglio Morire da Piccoli”, uno dei più grandi comici e cabarettisti di sempre.
Ma è inutile negare che per tutti significa soprattutto lui: Pablito. Se n’è andato prima del suo tempo il ragazzo di Madrid, il simbolo del Mundial, la più grande gioia sportiva di questo paese di sempre. Ma il suo ricordo vive ancora, lo fa anche grazie a questo documentario che ci parla della sua vita, fin dagli inizi, attraverso i ricordi dei familiari, degli amici ed ex compagni di squadra di ogni età e di ogni compagine in cui Paolo affinò quel talento, che lo ha reso ancora oggi uno dei più grandi calciatori di questo paese, ma in ultima analisi soprattutto un eroe sportivo. Perché? Perché Paolo Rossi, ed è questa la tesi finale del documentario, in fondo era uno di noi.
È stato tutto bello – Storia di Paolino e Pablito: un viaggio dentro la vita di Paolo Rossi
È stato tutto bello – Storia di Paolino e Pablito si avvale di documenti e filmati privati, ma soprattutto di testimoni d’eccezione, come il fratello di Paolo Rossi, Rossano, ex compagni di squadra come furono Paolo Cabrini ha Marco Tardelli. Ma poi ecco anche tutti gli amici di infanzia, chi anche solo per un breve tratto della propria esistenza stette al fianco di questo attaccante più unico che raro. Walter Veltroni come in C’è Tempo, non riesce a darsi un senso della misura, abbraccio in pieno una narrazione fin troppo abbondante, esagera anche con la volontà di revocare momenti privati, non dosa in modo giusto gli ingredienti di un piatto che comunque alla fine rimane sicuramente gradevole. Lo è perché coerente, dall’inizio alla fine, a dispetto della sua mancanza di un’identità chiara, di un ritmo che non riesce mai veramente ad accelerare. Ma nonostante questo non si può certamente rimanere indifferenti mentre ricordiamo Paolo Rossi, quel ragazzo nato a Prato, cresciuto se non nella miseria, sicuramente in una dimensione proletaria umile, fatta di sacrifici e di un’etica del lavoro che gli avrebbe utilizzato nel modo migliore. A conti fatti guardare la sua vita, di questo indomabile attaccante che per il campo correva magro e astuto, vuol dire anche fare i conti con quanto questo paese sia cambiato.
Un simbolo di speranza e rinascita
Paolo Rossi ci piaceva, aveva tutto per piacerci. Aveva la modestia e la sincerità dei modi e della vita, quella di quell’Italia che oggi non c’è più, fatta di gente concreta e che non si concedeva facili lussi, neppure quando diventava come lui un calciatore professionista tra i più desiderati del nostro campionato. Ricordi, episodi, filmati, ci vengono mostrati a ripetizione, riecheggiano le telecronache di Martellini, rito pagano con cui il paese superò un momento assolutamente terrificante della propria storia. Paolo arrivò al mondiale sull’onda delle critiche per il suo coinvolgimento nello scandalo del calcioscommesse, tra veleni, critiche e chi invece faceva altri nomi al posto di questo ragazzo, che non giocava da tanto, secondo molti troppo tempo. Il suo risalire la china può essere sicuramente paragonato a ciò che significò per il popolo americano un uomo come Jim Braddock, quello di Cinderella Man con Russell Crowe o nel cinema il Rocky di Stallone: il simbolo di una rinascita, di speranza. I gol contro il Brasile di Zico e Falcao, l’exploit nel Mondial argentino, le battute di Pertini, i tempi dei primi ritiri a Torino, i ricordi di gioventù a Perugia, le sue finte, i suoi dribbling, il suo fiuto del gol. C’è tutto questo ma anche uno sguardo più umano, più intimo, che eleva e assieme umanizza Pablito, lo onora della dimensione semantica che ha sempre avuto per tutti noi.
Un film coerente ma un po’ incostante
Paolo Rossi poi lo rivediamo negli anni a seguire, a ricordare il gol contro la Germania, con la stessa energia, lo stesso umile entusiasmo. L’insieme sicuramente vale la visione, regge anche la concorrenza con altri documentari come Paolo Rossi – l’uomo. Il Campione. La Leggenda che sono usciti nel quarantennale della grande vittoria, a poco meno di due anni dalla sua scomparsa. Vi è un’atmosfera molto malinconica, il richiamo di quell’Italia che fu, quando era avvolta da profonde problematiche ma animata di idealismo, senso di comunità, sentimenti comuni che non finivano al 90°. In tale componente alberga l’energia più segreta di questo film, imperfetto ma sincero, da cui è impossibile uscire indifferenti o comunque non colpiti dalle mille immagini, frasi, ricordi e sensazioni che vengono offerti. Soprattutto perché non è un film su Paolo Rossi, ma un film per Paolo Rossi, per farcelo capire, per rendergli giustizia dal punto di vista umano prima ancora che sportivo. Certo, Veltroni forse deve prendersi artisticamente meno sul serio, imparare ad apprezzare la sintesi. Ma non si può negare che per una volta il suo tono sentimentalistico non sia stato affatto sprecato o fuori luogo. Perché lo sport, alla fine, serve soprattutto a parlarci di sentimenti e pochi ce ne hanno dati quanto Paolo Rossi.