Edhel: recensione del film di Marco Renda
Edhel è una ragazzina nata con una strana malformazione alle orecchie che per questo motivo risultano innaturalmente appuntite. L'incontro con il bidello nerd Silvano metterà in gioco una nuova possibilità: e se Edhel, invece, fosse in realtà un elfo?
Per quelli tra di noi che, qualsiasi sia la nostra età, a un certo punto della propria vita sono entrati nel tunnel senza fine di Tolkien e Il Signore degli Anelli e, non contenti di essersi riguardati innumerevoli volte l’intera trilogia in edizione estesa insieme alle ventimila ore di contenuti speciali, hanno pure deciso di buttarsi nello studio delle lingue elfiche – a discapito di compiti, esami e bevute tra amici – la parola edhel farà probabilmente accendere qualcosa nella memoria. Presa in prestito dal Sindarin, una delle numerose lingue inventate da J. R. R. Tolkien e parlata dagli Elfi che popolano la Terra di Mezzo durante la Terza Era, edhel significa “elfo” ed è anche il titolo del debutto cinematografico del giovane regista napoletano Marco Renda. Già acclamato all’ultimo Giffoni Film Festival in cui si è aggiudicato il secondo posto, Edhel ha da poco fatto incetta di premi anche ai Los Angeles Film Awards dove è stato premiato come miglior film, miglior regia, miglior cast e miglior film indipendente. In uscita nelle sale italiane il prossimo 25 gennaio, il film è prodotto e distribuito da Vinians.
Edhel e la riscoperta del genere fantastico
Se è vero che il genere fantastico non ha mai preso troppo piede in Italia, ultimamente sembra che questo stia vivendo una qualche rinascita sulle orme dei due capitoli de Il ragazzo invisibile a firma di Gabriele Salvatores. Ciò che però interessa a Renda è il racconto dell’emarginazione del diverso e del conseguente disagio che deriva dalla difficile accettazione della propria originalità. In questo modo, il fantastico viene utilizzato in duplice chiave, sia come via di fuga alternativa che come strumento grazie al quale fare pace con le proprie peculiarità.
Edhel infatti racconta la storia dell’omonima protagonista, una ragazzina di dodici anni (Gaia Forte) da poco orfana di padre a seguito di un incidente a cavallo. La sua è una vita difficile: a scuola, oggetto di bullismo per via di una malformazione alle orecchie che gli fa avere una strana forma appuntita; a casa, ha un rapporto difficile con la madre (Roberta Mattei), un rapporto caratterizzato da continue incomprensioni e discussioni. Unica valvola di sfogo sono gli allenamenti con Caronte, il cavallo cavalcato precedentemente dal padre e con il quale Edhel partecipa adesso a diverse gare. Sarà però l’incontro con il bidello nerd del suo liceo, Silvano (Nicolò Ernesto Alaimo), a cambiare le cose. Silvano, infatti, è convinto che le orecchie di Edhel non siano affatto una malformazione ma che segnalino semplicemente la vera natura di elfo della ragazzina, grazie alla quale la ragazzina potrebbe essere in grado di aprire un portale magico per raggiungere il mondo degli elfi in cui dovrebbe vivere.
Edhel: una recitazione talvolta incerta e la rappresentazione moderna del metafisico
Sempre a cavallo tra reale e immaginifico, Edhel gode della regia piuttosto scaltra dell’esordiente Randa capace di confezionare un prodotto professionale nonostante il budget limitato di cui era a disposizione. Ciò che purtroppo sembra penalizzare la pellicola è una recitazione non sempre all’altezza da parte di tutti gli attori. Se, da un lato, si registrano le performance più che convincenti di Mariano Rigillo nel ruolo del proprietario del maneggio, cui però non si perdona la scivolata nell’uso di gli per a lei, ormai sempre più diffuso nell’italiano neostandard, e di Roberta Mattei; dall’altro, quelle di Forte e Alaimo talvolta faticano a consegnare un’interpretazione verosimile e variegata, sebbene si possa chiudere un occhio sulla prima per via della giovanissima età.
Quello che più convince in Edhel è, come già accennato, l’utilizzo del fantastico da parte di Randa. Il mondo magico viene costantemente accennato nelle parole di Silvano e nel rifulgere di un boschetto, non lontano dal maneggio, dove dovrebbe trovarsi il fantomatico portale magico. La presenza dell’immaginifico dunque non è mai ingombrante e resta in bilico tra verità e finzione in quanto il film non prende mai una posizione netta nel rappresentare il fantastico o nel negarlo categoricamente. Al contrario, quello che fa è presentarlo come mondo accogliente e materno in cui rifugiarsi per ritrovare se stessi e prendere coscienza della propria diversità. Una diversità che deve però essere abbracciata in quanto segno distintivo e non più celata e fuggita per paura di non essere accettati. In questo Edhel è un film spiccatamente riuscito, un film che nonostante i suoi difetti minori resta assai godibile anche da parte di un pubblico più adulto.