Venezia 79 – Eismayer: recensione del film di David Wagner
Il film austriaco Esmayer è in programmazione al Lido, alla Sala Perla e alla Sala Corinto, sabato 3 settembre (proiezione per la stampa), domenica 4 settembre e lunedì 5 settembre (pubblico e altri accreditati).
Quando Eismayer (Gerhard Liebmann), vice tenente e istruttore delle nuove leve dell’esercito austriaco, confessa a sua moglie, che già aveva intuito la presenza di un segreto nella vita del marito, di essere gay da sempre, ricorda insieme a lei un episodio risalente alla sua adolescenza: lui che confessa alla madre di provare attrazione per i ragazzi e la madre che gli risponde che è una cosa che si può risolvere e che, prima o poi, sarebbe passata; d’altro avviso, il padre, che invece lo avrebbe ignorato e punito con il silenzio per tutta la vita.
Le ‘correzioni’ al centro del film di Eismayer, presentato alla Settimana internazionale della critica
Sono le ‘correzioni’ franzeniane il tema di Eismayer, il lungometraggio di David Wagner, cineasta austriaco classe 1982 arrivato alla regia dopo una lunga gavetta negli altri dipartimenti dell’industria cinematografica: le correzioni che sono state imposte al protagonista, costretto a occultare il suo orientamento sessuale e a compensare la frustrazione con il paravento di un allineamento esasperato ai codici machisti, e le correzioni che il protagonista replica, con una spietatezza fuori posto in tempi di maggiore rilassatezza dei costumi, pur all’interno dell’esercito, nei confronti delle giovani reclute, destabilizzate da un sadismo di cui intuiscono, però, in qualche modo, la scaturigine morbosa, la ferita originaria e ancora purulenta.
L’arrivo di Falak, un giovane apertamente gay che sfida il ‘maestro’, mette in crisi un equilibrio fondato sulla rimozione non tanto di un desiderio, per sua struttura anarchico, ingestibile e insistente, quanto della sua manifestazione incondizionata, non soggetta ai compromessi della menzogna e del nascondimento ai fini dell’adesione ai codici sociali, adesione che per Eismayer assume caratteri di un mimetismo istrionico, di una rappresentazione quasi farsesca, o per così dire macchiettistica, di ciò che, secondo i suoi rigidi processi di simbolizzazione del maschile, dovrebbe essere un uomo e su ciò che da questo ci si aspetterebbe.
La messa in discussione dell’eternormatività da parte di un vice tenente che affida alla sua identità di soldato la risoluzione (impossibile) dell’enigma su che cos’è e come dovrebbe comportarsi un uomo
L’interrogativo, spalancato dall’apparizione di un’attrazione inattesa, intorno all’opportunità che un uomo, da intendersi secondo connotazioni maschili, possa essere nel contempo un buon soldato e anche un omosessuale, senza che l’identificazione fondamentale che tiene insieme le sue frammentazioni identitarie, sessuali, affettive, pulsionali collassi, lo conduce passo passo verso la redenzione e la riscrittura dei termini, prima d’ora irrinunciabili, dell’autonarrazione.
Eismayer s’insinua, così, tra le falde di una doppia vita e si chiede, come l’omonimo protagonista, se oggi, in tempi di fluidificazione delle collocazioni di genere e di rinegoziazione continua dei rapporti tra i sessi e le loro rappresentazioni sociali, vale ancora la pena pagare, con la violenza inflitta a sé e agli altri, la sussistenza di un asse eteronormativo.
Benché l’urgenza della sua riflessione ci si pari davanti cristallina, tanto più se pensiamo al fatto che una parola come ‘devianza’ resiste nel linguaggio piegato dalla stessa comunicazione politica agli obiettivi elettorali, la costruzione drammatico-narrativa del film, in cui l’inibizione del protagonista si trasferisce in un’estetica fredda di matrice hanekiana, non sembra trovare soluzioni nuove, ma anzi iscriversi in una tradizione consolidata che allunga sull’opera stessa l’impressione del già visto, indebolendone di conseguenza la forza emotiva, l’effetto detonante e trasformativo. Eismayer è un buon film, ma – ed è un peccato – non sposta nulla più in là.