El Ladrón de Perros: recensione del film di Vinko Tomicic

El Ladrón de Perros ci porta per le strade della Bolivia, in un viaggio attraverso gli occhi di un orfano in cerca d'amore.

Presentato al Tribeca Film Festival a New York e al Festival di Guadalajara in Messico, El Ladrón de Perros (Ladro di Cani) è il frutto del lavoro del regista cileno – classe 1987 – Vinko Tomicic, che ci racconta la drammatica storia di un ragazzino orfano in cerca di una sua identità e di una figura paterna che non ha mai avuto.

El Ladrón de Perros - Cinematographe.it

Una storia ricca di tensione che arriva il 26 luglio 2024, in anteprima, al Giffoni Film Festival. Coprodotto con l’italiana Movimento Film di Mario Mazzarotto, vede nel cast l’esordiente Franklin Aro Huasco, nei panni del protagonista Martin e Alfredo Castro, icona del cinema latinoamericano.

El Ladrón de Perros: la vita difficile e il sogno di un orfano in Bolivia

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Coming of age, El Ladrón de Perros è ambientato a La Paz in Bolivia dove ci troviamo a passeggiare, sin dai primi momenti, accanto all’orfano Martin (Franklin Aro Huasco). Martin frequenta la scuola e lavora come lustrascarpe per cercare di sopravvivere nell’attesa di un’adozione che, probabilmente, non arriverà mai perché è, ormai, troppo grande (ha tredici anni). Nel frattempo, è ospite della signora Ambrosia (Ninón Dávalos) e di Gladys (María Luque), amica della madre defunta.

Il motore che fa andare avanti Martin è la speranza: la speranza di trovare l’amore e avere, finalmente, una famiglia. Quando incontra come cliente il sarto Novoa (Alfredo Castro), il ragazzo pensa che questo possa essere suo padre perché sua madre lavorava per lui. Per cercare di guadagnare dei soldi facilmente con i suoi amici, Martin decide di rapire Astor, il bellissimo cane – un pastore tedesco – che per Novoa è come un figlio. Questo permette a Martin di avvicinarsi all’uomo e farsi conoscere, mentre lo aiuta a cercare Astor per la città.
I due iniziano a stringere un forte legame. Poco alla volta, Tomicic ci accompagna per mano nella mente di Martin, facendoci comprendere come inizi a desiderare molto di più da questa vita che sembra non avere nulla da offrirgli. Se inizialmente è mosso dal desiderio di un tornaconto economico, strada facendo per Martin qualcosa cambia…

Tra bullismo e povertà, la strada verso l’onestà

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Martin è da sempre vittima di bullismo. Deve nascondere il proprio volto per non mostrare di essere un modesto lustrascarpe, pur di riuscire a mettere qualcosa nello stomaco. Allo stesso tempo, cerca di impegnarsi a scuola per raggiungere i propri obiettivi e lo fa con determinazione. I suoi compagni di scuola lo prendono in giro continuamente, eppure lui non molla. Se, all’inizio, voleva riscuotere la ricompensa per aver riportato Astor a casa, alla fine Martin cresce umanamente: frequentando il signor Novoa diventa un ragazzo onesto, sempre più interessato a migliorare la propria vita in un mondo di ladri, bulli e bugiardi.

Quella di Franklin Aro Huasco – al suo esordio sullo schermo – è un’interpretazione toccante, che mostra il suo enorme potenziale. Martin cresce grazie all’influenza di Novoa. La narrazione è realistica e cruda, mentre la fotografia di Sergio Armstrong e le location del film giocano un ruolo importante per far comprendere il mondo di un protagonista che cerca di riempire, disperatamente, il vuoto che lo attanaglia. Martin ci prova con la presenza di Novoa e Astor, a cui si affeziona e con cui capisce cos’è l’amore.

El Ladrón de Perros: valutazione e conclusione

Il finale di El Ladrón de Perros potrebbe non piacere a tutti, perché aperto a più interpretazioni. Vinko Tomicic, con semplicità narrativa, ci insegna che la vita è difficilmente facile, soprattutto per chi è privato di diritti civili e vittima di disuguaglianze sociali. La fotografia di Sergio Armstrong riesce a trasmettere le tante emozioni provate da Martin, dalla frustrazione al senso di abbandono. La città di La Paz viene mostrata in tutta la sua dura bellezza: una città viva in cui – ancora oggi – sopravvivono mestieri antichi come quello del lustrascarpe e del sarto e in cui chi non ha i mezzi facilmente si dà alla vita criminosa. Tra jazz e musica boliviana, anche la colonna sonora di Wissam Hojeij gioca un ruolo fondamentale per raccontare, con delicatezza e senza risultare invadente, ciò che in tanti sogniamo: una vita migliore.

Regia - 4
Sceneggiatura - 3
Fotografia - 4
Recitazione - 3
Sonoro - 3
Emozione - 3

3.3