Elephant Song: recensione del nuovo film con Xavier Dolan
Elephant Song è un film di produzione canadese presentato al Toronto International Film Festival del 2014, che arriverà sugli schermi italiani a partire dal 15 gennaio 2016. La pellicola è sceneggiata da Nicolas Billon, che ha adattato una sua omonima opera teatrale, mentre la regia è di Charles Binamé. Per quanto riguarda il cast, i fari sono puntati su Xavier Dolan, l’enfant prodige del cinema mondiale che a soli 26 anni ha già firmato la regia di opere apprezzate da critica e pubblico come Laurence Anyways, Tom à la ferme e Mommy. Ad affiancarlo altri ottimi attori come Bruce Greenwood (Thirteen Days, Star Trek), Catherine Keener (Essere John Malkovich, Truman Capote: A sangue freddo) e Carrie-Anne Moss, indelebile nella mente dei cinefili per il suo ruolo di Trinity in Matrix.
Elephant Song: una miscela di dolore e follia potenzialmente esplosiva ma non pienamente sfruttata
Un importante psichiatra, il Dr. Lawrence, è improvvisamente scomparso. Il Dr. Toby Greene (Bruce Greenwood) viene chiamato a investigare sul caso, con particolare attenzione su uno dei pazienti di Lawrence, possibile testimone dell’evento, ovvero il 23enne Michael Aleen (Xavier Dolan). Greene viene avvisato da Susan Peterson (Catherine Keener), un’infermiera della struttura ospedaliera, di stare molto attento al carattere di Aleen, che con il suo modo di fare può mettere in crisi e riuscire a manipolare anche uno psicologo di spessore come lui. L’infermiera Peterson e il Dr. Toby Greene sono a loro volta collegati da un matrimonio finito da tempo, anche a causa di un terribile evento che ha irrimediabilmente segnato entrambi. Vicissitudini umane e professionali si intrecciano in una storia che rivelerà dolorosi segreti sul passato di tutti i protagonisti.
Elephant Song gode di una buona sceneggiatura e dell’ottima prova da parte di Xavier Dolan, che anche davanti alla macchina da presa non smette mai di stupire, dimostrandosi ancora una volta un artista completo. La sua è una prova da attore consumato, misurato quando serve e debordante al momento giusto, sempre in bilico fra la paranoia e la fragilità che il suo personaggio a tratti lascia trasparire. Il suo Michael Aleen riesce infatti a generare nello spettatore emozioni fortemente contrastanti: disgusto per i suoi folli comportamenti e per le azioni di cui si è macchiato, ma anche grande compassione per il suo passato e per i traumi che esso gli ha portato. Il lavoro degli attori è favorito dall’impianto teatrale della pellicola, che per buona parte della sua durata è ambientata in una singola stanza, in cui avviene il lungo confronto e scontro fra il dottore e il paziente. I due si studiano, si sfidano e instaurano un affascinante rapporto umano, che regala alcuni momenti di grande cinema. Peccato che tali notevoli spunti vengano spesso smorzati da continui sbalzi temporali e da sequenze non direttamente collegate alla trama principale (come le ripetute telefonate fra il Dr. Toby Greene e la moglie), che alla lunga finiscono per penalizzare e appiattire la pellicola. Anche se nel frattempo gran parte della curiosità si è persa per strada, le risposte che lo spettatore aspettava e i colpi di scena che voleva alla fine arrivano, in un finale decisamente azzeccato, che possiede il giusto equilibrio fra ciò che rivela e ciò che invece suggerisce solamente.
Il lavoro di Charles Binamé riesce a metà. Il regista attrae lo spettatore con atmosfere conturbanti, buoni dialoghi e personaggi ottimamente caratterizzati, ma non riesce mai a rendere compatto e omogeneo il proprio lavoro, finendo per essere troppo legato all’estro e alla straordinaria presenza scenica del protagonista Xavier Dolan. La grande prova di quest’ultimo finisce per annichilire quelle di Bruce Greenwood e Catherine Keener, attori sicuramente validi, ma troppo freddi e anonimi per reggere il confronto con il regista di Mommy.
Elephant Song si rivela un grande vorrei “ma non posso”, tecnicamente valido, ma privo dell’impronta autoriale necessaria per rendere al meglio la miscela potenzialmente esplosiva composta da una storia cupa e malsana e da personaggi ricchi di sfaccettature. Rimane quindi il rimpianto per una pellicola ampiamente oltre la sufficienza e priva di vistosi difetti, ma su cui si poteva e doveva fare di più.