Biografilm 2023 – Elfriede Jelinek – Die Sprache Von Der Leine Lassen: recensione
Un documentario/saggio che analizza l'opera e la figura della scrittrice austriaca, premio Nobel 2004 per la letteratura, Elfriede Jelinek
Claudia Müller, regista che più volte si è occupata di biografie di artisti è presente al Biografilm 2023 con il documentario Elfriede Jelinek – Die Sprache Von Der Leine Lassen.
Il film è praticamente un documentario/saggio sull’opera della scrittrice austriaca Elfriede Jelinek, premio Nobel 2004 per la letteratura. La Müller si concede poche incursioni nella biografia della Jelinek: l’origine ebrea del padre; il rapporto contrastato con la madre esigente, che la costringe a studiare danza e musica; l’esperienza oppressiva dell’educazione cattolica in un istituto di suore; la scoperta straniante della libertà, durante l’università nel ’69 e l’impegno politico in un collettivo artistico – non accenna però alla militanza nel Partito Comunista d’Austria; infine le polemiche che i suoi lavori, soprattutto quelli teatrali, hanno suscitato. Per il resto la regista fa largo uso di repertorio televisivo – che parte dagli anni settanta e arriva ai giorni nostri – e mette in scena alcuni audio di letture dei testi della scrittrice, montandoli su fotografie, immagini di paesaggi stiriani girati da lei e registrazioni video degli spettacoli tratti dalle opere della Jelinek.
Un linguaggio di rottura con l’esistente
I pensieri, le riflessioni e i racconti della propria vita sono offerti dalla protagonista allo spettatore, in varie interviste rilasciate alle più disparate fonti audiovisive. Dalla fine degli anni novanta infatti la donna ha deciso di centellinare le apparizioni pubbliche, fino quasi a sparire dalla vita sociale. La Müller rispetta questa scelta e non gira nessuna nuova intervista. D’altronde, come già detto, l’intento dell’opera non è tanto quello di raccontare la vita della donna premio Nobel, quanto di riflettere sul valore e il significato che l’opera della scrittrice ha per l’Austria e per il panorama culturale occidentale odierno. Lo stile letterario della Jelinek utilizza la combinazione, il montaggio di linguaggi diversi – dalle citazioni dei classici della letteratura al linguaggio dei fumetti – per dar vita a una scrittura in grado di demistificare le strutture di pensiero, alla base delle narrazioni offerte dai media e dalla politica contemporanea. Allo stesso modo la regista costruisce la struttura del suo lavoro sul montaggio, rievocando i processi demistificatori della produzione della Jelinek.
L’intera narrazione chiama in causa la cultura austriaca più tradizionale e conservatrice che, legandosi alle odierne mitologie del capitalismo liberale, vorrebbe vendere un’immagine di sé rassicurante, fatta di paesaggi turistici, giovani sportivi e famiglie sorridenti. Da questo paesaggio ovviamente una personalità problematica e critica come quella della Jelinek tende a essere espulsa, anche con una certa veemenza. Eppure la sua scrittura e il suo teatro continuano a imporsi, mettendo in crisi tutte quelle rappresentazioni culturali integrate al potere patriarcale dominante. Müller, sottolinea questo aspetto del rapporto fra la donna e il suo paese natale, in maniera forte e graffiante. Riprende casette linde e discorsi dei leader di estrema destra e li associa agli stralci più oscuri e violenti dell’opera della scrittrice. Esegue lente carrellate fra alberi spogli, reminiscenti dei movimenti di macchina del cinema di Greenway – cui l’autrice si ispira -, mentre descrive, con le parole della scrittrice, lo stupro della propria moglie, perpetrato da un “sano” uomo comune. Crea insomma una fitta trama di rimandi e assonanze visive e ritmiche, che trasformano l’immagine registrata della protagonista, in una icona della resistenza estrema e sofferta nei confronti di un esistente sempre più aggressivo e ipocrita.
La parte finale in cui viene mostrato lo spettacolo teatrale con i discorsi di Haider, leader dell’FPÖ, partito razzista e xenofobo, molto simile alla nostrana Lega Nord, su coreografie che ricordano le adunate naziste e i quadri di Bacon, intervallate dalle immagini della natura stiriana, diventano una rappresentazione espressionista dell’intera opera della Jelinek e della sua stessa vita. In una particolare mise en abyme la documentarista riproduce il processo creativo della scrittrice trasformando un documentario/saggio in una paradossale opera spuria creata dall’oggetto stesso della propria analisi. La Müller ha così il coraggio di seguire un percorso totalmente opposto a quello che sembra andare per la maggiore nel panorama documentaristico attuale. Si mette completamente al servizio di ciò che vuole raccontare e lascia scomparire la propria soggettività nello stile dell’opera, rifiutandosi non solo di mettere in scena sé stessa, ma di mettere in scena in maniera diretta la stessa figura della Jelinek odierna.
Elfriede Jelinek – Die Sprache Von Der Leine Lassen: valutazione e conclusione
Elfriede Jelinek – Die Sprache Von Der Leine Lassen diventa così una voce fuori dal coro. Una voce che grida la necessità del cinema documentario di farsi vettore non solo di narrazioni soggettive autoreferenziali ma di complesse analisi del mondo, attraverso prese di posizioni radicali sia estetiche che ideologiche, come lo sono state in letteratura e nella vita, quelle della protagonista del documentario.