Emma (2020): recensione del film con Anya Taylor-Joy
Anya Taylor-Joy è la protagonista di Emma, nuova trasposizione del classico di Jane Austen, tra compostezza e effervescenza.
È inappuntabile: ogni film ispirato alle opere di Jane Austen ha la sua intrinseca brillantezza. È la penna della scrittrice britannica a dettare le pennellate che ogni pellicola deve riportare, ma è ancor più nei dialoghi che la lucentezza dell’autrice immortale risplende con fervore mai indifferente, mai sottotono, nonostante la qualità o meno dell’operazione cinematografica che sta accogliendo uno dei suoi manoscritti. A distanza di ventiquattro anni, ultima volta che l’eroina Emma del romanzo della Austen faceva capolino sul grande schermo, torna a interpretarla con leziosità e compostezza la stella sempre più splendente Anya Taylor-Joy, giovane promessa che riconferma nuovamente il proprio non più acerbo talento, destreggiandosi negli intrighi romantici e smorfiosi del racconto pubblicato nel 1815.
Inquadrata per la prima volta da Autumn de Wilde, che delle arti ha esplorato ogni cosmo concentrandosi con fervore sull’ambito della fotografia e approdando con Emma all’esperienza del cinema, la Taylor-Joy non manca del candore delle protagoniste dell’incontrastabile romanziera, né altresì dell’impettita intelligenza che da sempre le contraddistingue. Incontrando, dunque, il favore di una tanto vitale interprete e le conoscenze di gusto della sua regista, la pellicola sugli incastri imprevedibili e mai così intuibili dell’amore si armonizza sui caratteri delle due personalità, per un’opera raffinata eppure pungente, in cui presenza e design si compenetrano con la disinvoltura dell’alta società e dei pettegolezzi più appetitosi.
Emma – Quel “pregiudizio” sopra i sentimenti
Inseguendo quella che crede essere la sua primaria funzione sociale, Emma Woodhouse (Anya Taylor-Joy) tenta di combinare le nozze tra Miss Harriet Smith (Mia Goth) e Mr. Elton (Josh O’Connor), diventando buona amica della giovane sprovveduta e inserendola con attenzione nel proprio giro di conoscenze cittadine. Ma è il susseguirsi di nuovi arrivi e grandi attese a destabilizzare il tranquillo ecosistema della comunità inglese dei primi dell’Ottocento, di cui saranno importante collante l’amico di famiglia Mr. Knightley (Johnny Flynn) e il pupillo direttamente da Londra Frank Churchill (Callum Turner).
Essendo film di personaggi, sono loro che la de Wilde combina in una sequela di movimenti e direzioni che hanno il sapore di una coreografia danzata. La pacatezza vacillante di fronte alle forti emozioni è, però, stato simbolo di quegli ambienti che Jane Austen ha riportato per tutta la sua carriera, stabilendone ogni volta quel “pregiudizio” che tanto l’ha resa celebre e che riverbera nella superficie graziosa e irrigidita della società di cui lei stessa fece parte. E articolata e precisa al millimetro è anche l’epidermide di questa Emma di Autumn de Wilde, mentre al di sotto, decorosa e impeccabile negli arredamenti di Alice Sutton e Stella Fox e nei costumi di Alexandra Byrne, ribolle il magma emozionale dei suoi così sentimentali protagonisti.
Emma – Ciò che si chiede a un’opera di Jane Austen
Sebbene, quindi, il contesto d’appartenenza sia quanto meno adeguato a rendere intrigante la nuova trasposizione filmica del romanzo, è la leggera mancanza di una briosità costante a determinare il solo piacere senza trasporto della pellicola. Un trarre godimento dalle sferzate di una sceneggiatura che coglie a piene mani dalla pagina scritta, che restituisce il senso frizzante e, soprattutto, incalzante dei dialoghi che fanno la gioia delle orecchie per gli amanti di Jane Austen, ma che dilata, a tratti, i propri tempi, costringendo il film ad adeguarsi a più distesi attimi, aspettando che ne arrivino di altri assai più concitati.
Nonostante, però, l’avanzare cauto di Emma, è l’autenticità che i libri della Austen sanno sempre trasmettere a venir restituita anche in questa nuova chiave. Il senso di grazia e decoro, di compiuto portamento che nasconde in maniera ben cauta lo scaldarsi delle relazioni. Un film che esegue esattamente quello che si chiede da un’opera dell’autrice, ossia quel infinito, effervescente, arguto stato di bellezza.