Fargo 3: recensione del pilot della serie con Ewan McGregor
Fargo 3 torna per portare sul piccolo schermo la realtà americana dipinta dai fratelli Coen nel film del 1996. Qui la nostra recensione del pilot
“Questa è una storia vera. I fatti mostrati sono avvenuti in Minnesota nel 2010”: vi suona familiare? Fargo 3 riporta sul piccolo schermo la serie antologica di Noah Hawley ispirata all’omonimo film del 1996 scritto e diretto dai fratelli Joel e Ethan Coen. Dopo il debutto ambientato nel 2006 con protagonista Billy Bob Thornton e il salto nel passato della seconda stagione (nel cui cast trovavamo Kirsten Dunst e Patrick Wilson), ambientata negli anni Settanta, Hawley ci riporta ai giorni nostri, precisamente nel 2010, accompagnati da uno sdoppiato Ewan McGregor.
Fargo 3 è ambientata nelle piccole e sperdute comunità di St. Cloud e Eden Valley (nel nevoso Minnesota). Le vicende ruotano attorno ai gemelli Emmit e Ray Stussy (interpretati entrambi dal camaleontico attore scozzese, che qui riesce effettivamente a sembrare due individui distinti). Emmit è un uomo di successo, di bell’aspetto, che si è fatto da solo. Suo fratello Ray, d’altro canto, è un agente di custodia con diversi problemi economici, sta diventando calvo, è sovrappeso e incolpa il fratello di tutti i suoi fallimenti. Il loro conflitto porterà ai tragici eventi che caratterizzeranno la stagione: omicidi, crimini efferati, malavita. Nel cast troviamo anche Mary Elizabeth Winstead (nei panni della fidanzata di Ray, Nikki) e Carrie Coon nei panni dello sceriffo Gloria Burgle.
È un cast interessante quello di Fargo 3 che, come avveniva nelle stagioni precedenti, continua a imporre una qualità “da cinema” al mezzo televisivo.
Non che questo, ormai, sorprenda più visto l’altissimo livello che ormai caratterizza la serialità (d’oltreoceano ma non solo, grazie al cielo), ma con la serie di Noah Hawley bisogna fare un discorso a parte. La cura per i dettagli, la fotografia ineccepibile, la scrittura caratterizzante sia delle singole scene che, inevitabilmente, della complessità dell’antologia. Tutto, in Fargo 3, ci fa dimenticare che quello che abbiamo davanti, lo stiamo vedendo sul monitor del PC o sul nostro relativamente piccolo televisore e non in sala, su un grande schermo brillante. La forza di Fargo è proprio quella di raccontare una storia ampia – sebbene sia ambientata in luoghi molto circoscritti, coinvolge talmente tanti soggetti, elementi e punti di vista da sembrare immensa – attraverso i suoi dettagli: l’acqua che scorre giù per il canale di scolo, il fumo di una sigaretta che avvolge l’ombra del fumatore, un biglietto di carta perso nella neve candida.
In un’ambientazione tanto ben curata, la scelta dei giusti protagonisti, allora, era fondamentale. In una produzione che presta tanta maniacale attenzione ai dettagli, circondarsi di interpreti altrettanto accurati era l’obiettivo numero uno.
Per questo non sorprende che il protagonista (o sarebbe meglio dire “i protagonisti”?) sia un attore cinematografico prestato alla televisione, il super espressivo Ewan McGregor. Mentre uno dei suoi ruoli assomiglia a molte delle parti ricoperte finora – un belloccio fortunato -, l’altra lo vede esteticamente trasformato, che per un attore abituato a sfoderare un ammaliante sorriso tanto bianco da accecare, non è poco. Accanto a lui troviamo due interpreti femminili interessanti: Mary Elizabeth Winstead e Carrie Coon, appunto; mentre quest’ultima non ha ancora avuto (almeno non nel pilot) l’occasione di dimostrare particolari capacità, la Winstead sembra confermare quell’aura fascinosa che da sempre la circonda. Osservando le sue interpretazioni, infatti, non veniamo colpiti da una particolare bravura attoriale, bensì da un’inspiegabile attrattiva e, nel caso del personaggio di Nikki, tostissima e un po’ losca, questa componente non viene a mancare.
Insomma, sembra essere davvero un po’ inutile dirvi che Fargo 3 sarà una stagione coi fiocchi e che manterrà le promesse fatte negli scorsi anni. La serie tornerà a raccontare quell’inquietante e sperduta porzione d’America solo come i Coen hanno saputo fare e come Hawley è riuscito a prendere in prestito senza snaturarla.