Venezia 80 – Finalmente l’alba: recensione del film di Saverio Costanzo
L’avventura di una ragazza nella Roma degli anni ’50 in compagnia dei divi del cinema alla scoperta di sé stessa.
In concorso a Venezia 80 Finalmente l’alba, il nuovo film di Saverio Costanzo che dopo anni nella serialità (In Treatment, L’amica geniale) torna al cinema con un’opera sognante, ambientata negli anni ‘50 Roma, quelli del mito di Cinecittà e della dolce vita. Protagonista è l’esordiente Rebecca Antonaci che recita al fianco di un cast d’eccezione: Lily James (Baby Driver, Pam & Tommy), Joe Keery (Stranger Things), Rachel Sennott, Willem Dafoe e Alba Rohrwacher. In sala al cinema dal 14 dicembre distribuito da 01 Distribution.
Mimosa è una timida e dolce ragazza, ama profondamente i film e i divi che abitano il grande schermo e con la madre e la sorella va spesso al cinema a sognare ad occhi aperti. Un giorno viene scelta come comparsa speciale a Cinecittà per un kolossal ambientato nell’antico Egitto in cui recitano proprio i suoi attori preferiti: Josephine Esperanto e Sean Lockwood. Il suo sogno durerà tutta la notte, ore memorabili e rocambolesche che da ragazza la trasformeranno in donna.
Finalmente l’alba – Viaggio al termine della notte
Un omaggio al cinema di un tempo quello di Saverio Costanzo, all’aura che lo circondava e ai tanti film e registi che lo hanno reso immortale. Mimosa è la protagonista assoluta di Finalmente l’alba e attraverso i suoi occhi viviamo la meraviglia, lo stupore e anche i timori di una ragazzina destinata a un matrimonio di convenienza nel vivere una notte da film, come quelli che vede con occhi sognanti al cinema. Un mondo conturbante e ambiguo quello del cinema, con i suoi divi capricciosi, le maestranze, le comparse, la magia che si crea quando parte il motore e gli attori diventano regine, faraoni, schiavi, eroi. Il regista e sceneggiatore riesce a ricreare quell’atmosfera, l’immaginario di celluloide di quegli anni, quando i divi di tutto il mondo giravano a Cinecittà e Federico Fellini costruiva i suoi mondi immaginifici, ancora di ispirazione.
Il pensiero, guardando Mimosa smarrita nei salotti “bene” della Roma di quel tempo, in compagnia dei suoi attori preferiti, non può non andare alla sposina de Lo sceicco bianco, o a Gelsomina de La strada, circondata da un’umanità che ricorda i dissoluti e smarriti protagonisti de La dolce vita. Sullo sfondo c’è una tragedia, un fatto di cronaca nera che sconvolse la Roma di quegli anni: l’omicidio di Wilma Montesi, avvenuto nell’aprile del 1953, una ragazza che sognava di diventare un’attrice e faceva la comparsa a Cinecittà, una morte misteriosa che coinvolse personalità della politica e dello spettacolo, ma che rimase senza colpevoli. Al sogno, al glamour, si aggiunge quindi la morte, la giovinezza spezzata. Mimosa con la sua bellezza semplice, con il suo candore emana una luce che conquista persino una diva come Josephine Esperanto, una Lily James sorprendente nel ruolo della femme fatale, che forse in quella ragazzina di umili origini vede quell’innocenza perduta, quell’autenticità che lei non può più far vedere a Hollywood, che le chiede solo di essere il personaggio, la dea inarrivabile del grande schermo.
La talentuosa esordiente Rebecca Antonaci riesce a tenere testa ad attori del calibro di Willem Dafoe, infondendo a Mimosa tanta grazia e profondità: come nella sequenza della “poesia muta” nella quale si prende la scena senza dire una parola. Saverio Costanzo, che ha dedicato il film al padre Maurizio Costanzo, scomparso quest’anno, restituisce dignità e linfa alla memoria di Wilma Montesi, sognando forse per lei un destino diverso, quello radioso di Mimosa che alla fine della notte scopre il suo nuovo volto.
Conclusione e valutazione
Tra citazioni, omaggi, scene maestose, come quelle del “finto” film girato a Cinecittà che richiama i tanti kolossal di successo dell’epoca, in Finalmente l’alba Saverio Costanzo ci fa vivere il sogno di un’epoca lontana con il suo fascino, i misteri e le sue illusioni, mostrando anche il lato più oscuro della dolce vita come hanno fatto illustri predecessori, in primis Federico Fellini, e che richiama alla mente anche un film recente, Babylon di Damien Chazelle, ispirato al libro Hollywood Babilonia di Kenneth Anger che per primo ha mostrato il vero volto della città dei sogni, cancellando la patina dorata dai volti di attori e attrici considerati per anni degli dei perfetti.