Fino alla fine: recensione del film da Roma FF19

Dopo la parentesi seriale, Gabriele Muccino torna sul grande schermo con un thriller che può rappresentare una svolta nella sua filmografia.

Dopo la parentesi seriale, Gabriele Muccino torna sul grande schermo con Fino alla fine, un lavoro con il quale affronta per la prima volta il genere thriller. Certo il suo, in fondo, è sempre stato un cinema d’azione. Stavolta il cambiamento di rotta è evidente, eppure restano invariate le caratteristiche principali che lo hanno (s)consacrato alla critica e al grande pubblico.

Fino alla fine: Muccino e il g(i)usto esasperato della trasgressione

L’idea all’origine di questo film permette a Muccino di divertirsi (forse) più del solito, confezionando una prima metà di racconto che sposa le sue più canoniche ossessioni – l’impeto giovanile, le rappresaglie familiari, la libertà da cartolina, le svolte esistenziali e la (s)grammatica del sentimento – e una seconda parte che, nutrendosi di un plot twist inaspettato, spinge l’opera in una direzione folle e adrenalinica. Appare dunque evidente che sia il regista stesso, più dei protagonisti che mette in scena, a vivere – e a godere di – questa trasgressione fatta di inseguimenti e regole capovolte.

Per quanto il genere thriller sia inedito nella sua filmografia, le atmosfere irrequiete e concitate sono in realtà il pane quotidiano dell’autore, che sa dirigere molto bene gli attori e dimostra, ancor di più in questa difficile prova, di essere completamente a suo agio nel gestire le scene d’azione. “Ho sempre fatto thriller”, ha dichiarato egli stesso con ironia, e in effetti la sua anima filmica è addirittura più adatta alle dinamiche del cinema di genere che a quelle della commedia drammatica e sentimentale. Con Fino alla fine, Muccino si riaffaccia ad un panorama internazionale che sembrava avere abbandonato – registicamente, il film non sfigura di fronte alle produzioni hollywoodiane – e riabbraccia una dimensione più commerciale e di puro intrattenimento che ammicca all’approvazione del grande pubblico.

Pur rappresentando una novità più che positiva, questa pellicola soffre del solito esasperato sentimentalismo mucciniano – la storia d’amore, così come il carattere della protagonista, viene inutilmente sovraccaricata di pathos, e al finale mancano cattiveria e sottigliezza – e di un didascalismo nella scrittura che lascia agli spettatori poco spazio di interpretazione. Se Muccino si affidasse a – o si facesse aiutare da – qualche sceneggiatore abile e raffinato probabilmente il suo cinema acquisirebbe uno spessore del tutto diverso, anche perché la sua indiscutibile abilità registica avrebbe modo di emergere con maggiore prepotenza.

Gli interpreti, chiamati al non semplice compito di mantenere una carica emotiva e un’energia scenica costantemente sopra le righe, forniscono una buonissima prova attoriale, ma a spiccare su tutti è Lorenzo Richelmy: il suo Komandante è un prototipo da tragedia greca struggente e talvolta piacevolmente anti climatico, risoluto e al contempo frammentato nell’anima, cinico e resistente ma pronto a crollare sotto i colpi di un abbraccio che sembra fermare il mondo (e il ritmo esagitato del film). Tutte sfumature inafferrabili che in Fino alla fine e nell’intera filmografia di Muccino rappresentano una meravigliosa anomalia, e che invece dovrebbero essere perseguite con tenacia e dedizione.

Fino alla fine: valutazione e conclusione

Fino alla fine è un film di evidente stampo mucciniano – con tutto il suo didascalismo e l’eccessivo sentimentalismo a cui ci ha abituati – che però esplora un territorio nuovo ed estremamente adatto alle capacità del regista. Che il cinema thriller e d’azione sia la terra promessa di Muccino?

Presentato alla 19ma Festa del Cinema di Roma, il film è al cinema dal 31 ottobre 2024 con 01 Distribution.

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Regia - 4
Sceneggiatura - 2
Fotografia - 3
Recitazione - 3.5
Sonoro - 2.5
Emozione - 3

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