Fino all’ultimo indizio: recensione del noir Netflix
Fino all'ultimo indizio è un film che non ha bisogno di accelerare i tempi, agisce indisturbato e si muove con una lentezza calcolata e maniacale, che mette i brividi...
Un noir poliziesco che vede due agenti inclini a perdere il controllo, perché ossessionati, completamente invischiati nella loro professione. Stiamo parlando di Fino all’ultimo indizio (The Little Things), il lungometraggio scritto e diretto da John Lee Hancock, che vanta nel cast, tra gli altri, i premi Oscar Denzel Washington, Rami Malek e Jared Leto, e con una travagliata storia di produzione alle spalle lunga trent’anni.
Non alle ombre dei delitti, non al tempo e al luogo nel quale si svolgono gli eventi della storia; l’interesse di Hancock è rivolto alle psicosi di un giovane detective rigoroso nell’esigere l’osservanza dei doveri della squadra omicidi e di un anziano vice sceriffo con uno stile di indagine molto personale, interpretati rispettivamente da Malek e Washington, che si ritrovano a dover risolvere casi di omicidio seriale: delitti organizzati per filo e per segno, e senza un movimento sprecato. Il regista di The Blind Side, Saving Mr. Banks e The Founder, prova a coinvolgere puntando su una storia oscura – “troppo oscura” a detta di Steven Spielberg -, che per il plot ci ricorda Seven e Zodiac di David Fincher, facendoci muovere insieme al duo di attori (fra registrazioni, interrogatori dei sospettati, suicidi e testimonianze compromesse) alle prese con un pluriomicida del passato e del presente, con le indagini sulla scena del crimine, e soprattutto in continua lotta con i propri mostri interiori. Fino all’ultimo indizio è disponibile in streaming, su Netflix, dal 5 agosto 2022.
Fino all’ultimo indizio – Due poliziotti provano a incastrare il principale sospettato di sei omicidi di donne: un maniaco del crimine con un’intelligenza sopra la media
Un killer professionista deve essere insensibile e avere un gran sangue freddo. Ma una cosa è certa, in Fino all’ultimo indizio non ha bisogno di accelerare i tempi, agisce pure indisturbato, e si muove con una lentezza calcolata e maniacale, che mette i brividi. Sa che l’obiettivo è a sua portata e non fa grandi sforzi, come nella prima scena del film, che rappresenta una potenziale vittima inseguita dal killer. La donna riesce a salvarsi e l’assassino fallisce. Il tema della fallibilità attraversa tutta l’opera il cui intreccio prende avvio da una Los Angeles desolata, negli anni ’90, non solo per la musica nera, ma anche per il terrore seminato dal pericoloso assassino seriale in questione.
Il vice sceriffo Joe Deacon, detto “Deke” (Denzel Washington), torna in città – dove aveva prestato servizio anni prima – per raccogliere delle prove su un caso, mentre il suo vecchio dipartimento indaga su una serie di omicidi simili a quelli che aveva investigato in passato. L’uomo inizia a collaborare con Jimmy Baxter (Rami Malek): un giovane detective di successo (chiamato a lavorare proprio al posto di Deacon), che appare diverso dal predecessore, ma ha in comune con lui l’ossessione per i casi a cui lavora. Tutti consigliano a Jimmy di non lasciarsi coinvolgere da Deke (il grande detective che cinque anni prima si era fatto prendere troppo dai suoi casi, al punto da aver ricevuto una sospensione e aver avuto un infarto), ma non resta molto tempo per le valutazioni.
Gli omicidi delle giovani donne si susseguono, e, malgrado i due non abbiano nessuna prova, cercano di incastrare il principale sospettato: un maniaco del crimine con un’intelligenza sopra la media il cui nome è Albert Sparma. Albert, che ha il volto e il corpo di Jared Leto, è uno dei dipendenti di un negozio di riparazioni di elettrodomestici situato nel quartiere degli omicidi. Deacon è il primo ad iniziare a indagare sul suo conto; ma prima Sparma vanifica il suo tentativo di pedinarlo, poi il principale indiziato viene interrogato in centrale dove non collabora e si diverte a dileggiare e a fuorviare i detective…
Washington e Leto superlativi, Malek inadatto per il ruolo
C’è un confine tra preoccupazione e ossessione, che se viene superato può comportare una perdita di contatto con il mondo reale, quella che esperiscono i principali personaggi di questo film. Scena thrilling d’apertura a parte, in tutta la prima tranche si procede a ritmo strascicato e lentissimo. Potreste avvertire fame per la noia, perché Fino all’ultimo indizio ci mette del tempo a farvi inquadrare gli elementi cardine della storia, a suggerire un mostro, potenziale più che reale; i crimini che si possono commettere quando l’ossessione si aggroviglia al timore di fallire. C’è poco da scaldarsi. È storia già vista, che sottende anche un lavoro di regia non immune da difetti. Nonostante l’ingiustificabile solenne calma che perdura nella prima ora e mezza (sic!), dobbiamo riconoscere che la pellicola si lascia seguire per una superlativa performance di Denzel Washington, che per interpretare Deacon ha preso diversi chili (l’attore non sbaglia un’inquadratura), a differenza di Rami Malek, che appare inadatto per questo ruolo e troppo magnetico nei dialoghi. Ma l’interesse dello spettatore inizia a decollare dall’interrogatorio di Albert, grazie a un’ammirabile interpretazione di Jared Leto. L’attore ha rifiutato di usare le parrucche preferendo i suoi capelli, è stato stato truccato con denti e naso finti, ma rimane riconoscibile e ottiene senza difficoltà la nostra credibilità come “potenziale assassino di donne”. Jared ci regala un memorabile interrogatorio e verso il finale riesce addirittura a far acquisire al suo personaggio una lucidità più folle (anche espressiva) che lo rende terribilmente convincente. Per concludere che John Lee Hancock ha voluto girare questo film quasi esclusivamente in un unico ambiente: la prigione dei pensieri vissuta da Deke e Jimmy, in quel continuo rimuginio che finisce per rendere la “storia pensata” più verosimile di quella che è, innescando un corto circuito anche nella mente di Baxter.
Come riequilibrare? Solo nella scena conclusiva il regista esplora un territorio non convenzionale. E quel “no angels” vuol dire forse imparare a bloccare le risposte nella mente per arrivare ad inibire le domande, perché quando “i morti sono morti” è inutile disseppellirli. Fino all’ultimo indizio è un film che parla di errore in chiave antropologica e mostruosa, con un finale circolare e azzeccato che è la carezza emotiva che arriva al momento giusto, quando Jimmy si trova davanti all’acqua e potrebbe appoggiarvi i propri pensieri, guardandoli scivolare via.