Folle d’amore – Alda Merini: recensione del film tv di Roberto Faenza
La recensione di Folle d'amore - Alda Merini, il film TV per la regia di Roberto Faenza sulla vita della grande poetessa.
Alda Merini scrive. Alda Merini racconta. Alda Merini legge, intona. Alda Merini è le sue poesie, le parole confuse, l’amore dolente, i suoi dolci e sfuggenti amanti. Merini legge i suoi versi a un pubblico distratto, inizia così Folle d’amore – Alda Merini, il film tv di Roberto Faenza che trae ispirazione dal libro di Enza Alfano Perché ti ho perduto, su Rai 1 il 14 marzo 2024 che vuole raccontare una delle donne più conosciute e talentuose della nostra poesia e dell’arte in genere. Non è un caso che il film inizi proprio con lei (Laura Morante che si modifica per dare corpo alla grande artista della poesia italiana) che intona i versi scritti con dolore, sangue e sudore, tra gli uditori c’è Arnoldo Mosca Mondadori (Federico Cesari), un giovane uomo che diventerà il suo sostegno e il suo interlocutore. Proprio Mondadori è colui che lungo il film ascolta tra un caffè e una sigaretta sempre accesa, la storia della vita di colei che è stata sempre Folle d’amore, appunto per citare una delle raccolte più famose della poetessa.
Folle d’amore – Alda Merini: un racconto a cui manca la tempesta
Faenza porta su Rai 1 Alda Merini, le sue opere, le sue giornate violente e impietose ma anche quelle amorose e matte, compone la sua opera in tre atti, la giovinezza, il periodo manicomiale e quello della maturità. Così a dare corpo alla poetessa ci sono tre attrici diverse, Sofia D’Elia giovane e impetuosa che pretende di studiare quando studiare per una femmina poteva essere ancora un privilegio, Rosa Diletta Rossi, adulta, sposata, con due figlie, sempre imbrigliata in parole e versi pieni di lei e di ciò che pensa (parla di religione, di sessualità usando parole intrise di erotismo e desiderio, del suo sentirsi sbagliata e reietta rispetto al resto del mondo, della solitudine, della redenzione) e prova, chiusa in manicomio (l’ospedale psichiatrico Paolo Pini, dal 1964 al 1972) e infine Laura Morante che veste i panni dell’anziana Merini.
“Ma non sapevo che nascere folle/aprire le zolle/potesse scatenar tempesta“, scrive così Merini in uno dei suoi componimenti più famosi e più toccanti in cui con pochi lemmi descrive chiaramente se stessa, il suo profondo sentire. Proprio questo ci si sarebbe aspettati da Folle d’amore-Alda Merini che ha una dichiarazione d’intenti lampante fin dal titolo, quella tempesta qui è davvero stemperata, è dosata tanto da sembrare in certi momenti la storia di qualunque altra donna, di nome Alda che ha molto amato e sofferto, che è stata messa in ginocchio dal primo amore andato male e dalla morte del padre, che ha passato anni in una struttura manicomiale, e non il racconto della storia di Alda Merini colei che ha scritto: “in me l’anima c’era della meretrice/ della santa della sanguinaria e dell’ipocrita./ Molti diedero al mio modo di vivere un nome/ e fui soltanto una isterica”.
Folle d’amore-Alda Merini è un racconto prudente, troppo se si pensa alla tempra, al vigore e al tempo stesso alla fragilità della sua protagonista, un’opera timida che addolcisce molti angoli puntuti della strada percorsa da Merini. La donna tempesta, colei che scrive “io sono folle, folle, folle di amore per te. Io gemo di tenerezza perché sono folle, folle”, la “poetessa della primavera” è qui una donna con dolori, lacrime, con una terribile esperienza in un ospedale psichiatrico ma che perde molto della sua naturale quanto speciale cifra. Quegli anni rinchiusa sono stati per lei esperienza essenziale, mani demiurgiche che l’hanno formata tanto da condizionare vita privata e scrittura, diventano un piccolo capitolo di cui non si scorge tutto il valore.
Folle d’amore – Alda Merini: un biopic troppo classico per narrare una delle grande poetesse italiane che ha vissuto senza barriere
Merini usa la scrittura come una liberazione, come mezzo per narrare ciò che vede e ciò che la tocca profondamente, per le la poesia è una via di fuga da una realtà spesso impetuosa che l’ha turbata e segnata – la crisi post partum, il non sentirsi capita, l’allontanamento dalle figlie e una condizione mentale che la rende fragile.
Nonostante la madre e i professori ostacolassero il suo percorso, riesce a vivere di poesia, grazie a Spagnoletti, Corti e Quasimodo con cui ha una relazione. Anche qui, come nell’opera letteraria, fondamentale, una sorta di spartiacque è il poeta Giorgio Manganelli di cui si innamora ancora adolescente, uomo che l’ha tanto apprezzato, molto più grande di lei e già sposato, relazione che la scuote diventando una sorta di paradigma che replicherà più volte.
Dopo i primi problemi d’amore che le lasciano segni indelebili, sposa Ettore, diventano genitori ma poi, l’uomo, a causa delle “bizze” e del carattere ribelle della moglie la fa internare sottolineando che questa è l’unica soluzione. Esce da quelle mura per la morte del marito, la rinascita è vicina, ad aiutarla è anche l’incontro con Michele Pierri, poeta napoletano, di trent’anni più grande di lei. Dopo la morte di Pierri, rientra a Milano e lì vivrà sola fino alla morte nel novembre del 2009.
Fin da qui si comprende quanto l’esistenza di Merini sia complessa, articolata, piena, difficile da narrare tutta, e la sensazione mentre si assiste al film è di incompletezza e di aver bisogno di molto altro ancora.
Folle d’amore sembra un biopic classico privato di quello spirito pop e alto insieme, della natura di Merini senza barriere e spinta proprio come quei suoi componimenti orfici, ma invece è la cronaca della vita di Alda Merini e si resta un passo indietro in balia della potentissima Alda recepita come una “divinità” troppo magniloquente da arginare, forse perché la si è voluta incanalare in una rete troppo regolare e rigida.
La Merini di Morante è una donna particolare, un’artista sui generis ma senza il senso di emarginazione, di voglia di libertà, di emancipazione che la poetessa ha vissuto sulla sua pelle, manca un po’ di quel vigoroso strazio della donna che ama e ha amato sempre, tanto teneramente e disperatamente, più che folle sembra una radical chic, stravagante in superficie ma molto meno nel profondo. Pur non cercando una mimesi che darebbe una piatta interpretazione, Morante è estremamente diversa da Merini, poco terrigna, troppo lunare per quella anima gentile e estremamente divorata dalla passione e dall’amore.
Folle d’amore – Alda Merini: conclusione e valutazione
La sigaretta in mano, il rossetto rosso, le unghie smaltate e smangiate raccontano l’immagine di Alda Merini almeno all’apparenza eco dell’originale come gli abiti abbinati in maniera spregiudicata, al di là delle regole, e la sua casa scompigliata e viva. Però può bastare questo ad inquadrare una delle figure più importanti della poesia italiana e non?
Si sente l’amore per Merini in ogni momento ma il film è carente dell'”indecenza” propria di Merini e della sua opera, di quella angosciata e giocosa voglia di essere e di non essere, di essere tutto e niente, di abbandonarsi all’amore e di perdersi in quello stesso sentimento.
Nel racconto di Merini sarebbe servito un piglio sfacciato, di arrogante ribellione, ci sarebbe voluto un pizzico di quella esaltazione artistica che Merini aveva quando parlava, quando scriveva, quando declamava. Folle d’amore è troppo rigoroso per narrare Merini e la sua tempesta, non c’è voglia di ribaltare l’ordine delle cose e il genere, in modo da essere come lei, fuori tempo, posto, fuori da tutto e dentro ogni cosa.