Franca: Chaos and Creation – recensione del film su Franca Sozzani
Francesco Carrozzini riesce a conciliare pubblico e privato, dipingendo un ritratto umano e personale della madre, senza tralasciare di metterne in risalto la statura professionale.
A un anno ormai dalla prima veneziana, Franca: Chaos and Creation arriva per tre giorni, dal 25 al 27 settembre, nelle sale italiane, arricchito da un breve ma suggestivo epilogo: Franca Sozzani e Francesco Carrozzini, madre e figlio, in piedi sul Lungosenna, in una delle ultime apparizioni della grande editor prima della sua tragica scomparsa di lì a tre mesi. Scena quanto mai rivelatoria di come Carrozzini, fotografo trentenne e regista di questo docufilm dedicato alla madre Franca Sozzani, scelga di giocare questa sua prima prova con la forma del lungometraggio su una profonda esigenza, di natura strettamente personale.
Franca: Chaos and Creation: il docu-film sulla vita di Franca Sozzani sarà nei cinema italiani per tre giornate evento, dal 25 al 27 settembre
È lo stesso regista a rivelare in più di un’intervista come, dopo la morte del padre, la consapevolezza di non averlo mai conosciuto come un figlio dovrebbe probabilmente conoscere i genitori, lo abbia spinto a non ripetere lo stesso errore con questa insolita figura materna. Inizia così un lungo viaggio, durato più di due anni, in cui madre e figlio, chiusi in un’auto per le vie di New York, compongono le tessere di un mosaico che è innanzitutto una storia famigliare e, in seconda battuta, il testamento di una presenza imprescindibile nel mondo dell’alta moda internazionale.
Alternando inglese e italiano, il documentario svela così caparbietà e debolezze di una nota “donna di ferro”, restituendole la propria umanità, l’ironia (“Perché ti sei sposata?”. “Perché ero già vestita”), la leggerezza nell’affrontare una vita sempre sotto l’occhio a volte impietoso dei media (“Bisogna essere leggeri nella vita. La leggerezza è quando sei così profondo da poterti permettere di volare alto”). E ancora l’attesa del grande amore, la paura della vecchiaia, ma solo dal punto di vista estetico.
Carrozzini riesce a conciliare il pubblico con il privato, alternando sapientemente immagini e video in Super8 rubati dai filmini di famiglia, alle cover più discusse di Vogue.
Una formula che si rivela doppiamente vincente: se da un lato dipinge con onestà un “ritratto intimo” di Franca Sozzani, andando oltre gli stereotipi che inevitabilmente circondano un personaggio pubblico di questa rilevanza, per restituirle il proprio status di donna e di madre imperfetta, dall’altro non tralascia di metterne in risalto la statura artistica e professionale. Quei tratti di creatività e genialità che hanno permesso alla direttrice di Vogue di inventare di fatto, tra gli anni ’80 e ‘90, una nuova generazione di fotografi, lasciata libera di esprimersi da un punto di vista artistico, come aspetto più evidente di un’operazione volta a svecchiare il sistema dell’editoria di moda, valicando il confine tra ciò che fino a quel momento si poteva dire in una rivista per “signore”, e ciò che non si poteva.
Grande spazio viene quindi lasciato alla voce dei tanti importanti nomi, provenienti da tutto il mondo, concordi nel celebrare l’unicità del lavoro di Franca Sozzani. Da Bruce Weber, a Baz Luhrmann, che la ringraziano per la libertà e la fiducia accordata loro, a Valentino, che la celebra come editor, passando per Donatella Versace e il fotografo Peter Lindbergh, legato a Sozzani da una lunga collaborazione e amicizia, il quale ammette di esserne sempre stato innamorato, fino a Bernard Henri-Levy, che ne parla come di una figura eterea appena uscita da un dipinto di Botticelli o da un romanzo di Stendhal.
Franca: Chaos and Creation è un ritratto genuino e straordinario puro di Franca Sozzani
Un coro, quindi, pressoché unanime che la voce di Carrozzini riesce fortunatamente a spezzare, con domande volutamente scomode, (“Hai mai fallito?”, “ti fa paura perdere il potere?”), qualche volta più benevole (“Perché hai lasciato così tanta libertà ai fotografi?”), altre decisamente intime (“A parte me, chi è la persona di cui ti fidi di più?”). Sono proprio questi momenti da solo con la madre a costituire il vero punto di forza del documentario, compensandolo pienamente di quelli che sono invece i difetti più evidenti.
Ai toni altisonanti che presentano le copertine più controverse di Vogue, insieme a una voce di commento piuttosto invasiva, fa da contraltare la genuinità di una donna straordinaria, ma difficile, irriverente e caparbia, che mette al riparo il film dal sensazionalismo in cui, a volte, sembra scivolare – come dal pericolo di “santificazione” nei confronti di un personaggio che negli ultimi venticinque anni ha segnato il mondo della moda – invertendo linee di tendenza e tracciando nuove strade.
Una figura che, soprattutto, come ricorda il fotografo Bruce Weber paragonandola a una foto di Salvador Dalì in compagnia di un rinoceronte, al pari dei surrealisti credeva nel bisogno, nella vita di tutti noi, di sognare e di sognare in grande. “Perché togliere alle persone il sogno?”, si interroga nel corso del film. In fondo la moda è un po’ anche questo, la volontà di perpetuare il sogno su riviste di carta patinata.