Freaks: recensione del film di Zach Lipovsky e Adam Stein
Incantevole per regia, sceneggiatura e fotografia, Freaks deve moltissimo alla straordinaria chimica tra i vari interpreti, regalando al pubblico un thriller sci fi che dimostra di avere molta più verve, intensità e sensibilità di molti altri filma budget più elevato.
La piccola Chloe (Lexy Kolker) conduce un’esistenza alquanto strana. Vive da sola in una casa semi-fatiscente con il padre (Emile Hirsch), il quale non le permette mai di uscire verso il mondo esterno, che le viene descritto come pericolosissimo, mortale. Solo lui può uscire all’esterno, per procurare del cibo o altri beni di prima necessità. Chloe però dalle finestre sovente guarda verso l’esterno e vede bambini che giocano, cani, persone che passeggiano e un furgoncino dei gelati dove intravede un vecchio signore gentile (Bruce Dern).
Chloe spesso è preda di quelle che sembrano essere allucinazioni, crede di vedere nello sgabuzzino il fantasma della madre Mary (Amanda Crew) e ogni tanto si scopre in compagnia della figlia dei vicini. Confusa ma animata da una curiosità sconfinata, poco a poco comprenderà di non essere come gli altri, ma una delle tante Freaks, esseri umani anormali dotati di poteri unici che ormai da tempo sono perseguitati e rinchiusi dal governo, e che il padre la tiene nascosta per proteggerla. Ma davvero Chloe ha bisogno di protezione? O serve agli altri da lei? In breve tempo Chloe comincerà a capire sempre di più su chi siano veramente le persone attorno a lei, che possiede dei poteri straordinari e che non tutti i sogni sono solo sogni.
Freaks: una storia semplice ed efficace
Freaks porta la doppia firma nella regia e nella sceneggiatura di Zach Lipovsky (Dead Rising: Watchover e Tasmanian Devils) e Adam Stein (Mech X4 ed ex regista dello show di Jimmy Kimmel) e può rivendicare di essere, nel suo “piccolo” di B-movie, uno straordinario esempio di quale linea dovrebbero in futuro seguire i cinecomics, per evitare una decadenza che in molti ormai cominciano ad intravedere dietro l’angolo.
Freaks infatti non parte da effetti speciali, da grandi star ultra-pagate o da un marketing ossessivo, quanto piuttosto da un elemento semplice ma basilare dell’arte cinematografica: una storia.
Una storia efficace, semplice, con un punto di partenza anche abusato se si vuole, ma che viene sviluppato da Lipovsky e Stein in modo impeccabile, creando un universo fantasioso e accattivante, ma dove il realismo dell’azione e la coerenza sono sempre di casa, oltre ad un umorismo sempre puntuale e mai esagerato o innaturale (con buona pace della verve stile Marvel).
L’iter narrativo è concepito in un continuo crescendo, in uno svelare allo spettatore poco a poco la verità, nell’approfondire passo passo la natura dei personaggi, il loro ruolo, il tutto seguendo il punto di vista della giovanissima protagonista.
Freaks: l’eccezionale chimica tra Lexy Kolker e Bruce Dern
Oltre ad una solida sceneggiatura, Freaks è caratterizzato anche da un’ottima regia, che sa alternare in modo perfetto la dimensione interno-esterno, ma che mira sempre e comunque a far sentire lo spettatore imprigionato come la protagonista, mai libero, sempre nella condizione di inferiorità (sia visiva che psicologica) rispetto all’ambiente circostante.
Coadiuvato da una fotografia di Stirling Bancroft molto efficace, Freaks deve moltissimo però alla straordinaria chimica tra i vari interpreti, soprattutto tra Hirsch e Dern, bravissimi nel creare due facce antitetiche del concetto di paternità, nonché a destreggiarsi con la piccola protagonista.
E proprio la Kolker è la carta vincente di tutto il film, dal momento che riesce a dominare ogni scena senza cadere nella trappola della petulanza e dell’essere o troppo sveglia o troppo ingenua. Un equilibrio molto difficile da raggiungere e mantenere, ottenuto grazie ad un’espressività e un’adattabilità veramente uniche.
Freaks e il coraggio di dipingere mutanti con fragilità e introspezione
Ma ciò che più conta è come questo Freaks , nel dipingere “mutanti” molto umani, per nulla perfetti o fracassoni, riporti in auge quel tipo di fragilità e di introspezione che da sempre hanno reso l’universo narrativo concepito da Bryan Singer e Gavin Hood sicuramente più profondo e meno ripetitivo di quello che in questi anni ha portato il MCU a dominare e allo stesso tempo sterilizzare questo tipo di genere.
Ha più verve, intensità e sensibilità questo film di molti altri epigoni che a parte una miriade di effettoni speciali hanno ben poco da offrire di nuovo al pubblico.
Ora la speranza è che non solo Freaks abbia un sequel, ma che magari qualcuno ai piani alti delle major, oltre che dare una possibilità con budget e mezzi superiori a Stein e Lipovsky, ne segua l’esempio.
I cinecomic e i film incentrati su mutanti e supereroi hanno bisogno di riscoprire l’energia del racconto, l’efficacia di uno script ben fatto, l’energia che viene da una visione ad un tempo universale e nuova, del sapere approfondire i personaggi in modo totale.
Altrimenti il genere è destinato a scomparire così come scomparve a suo tempo il dominio del cinema western, quando si esaurì quella spinta creativa che portava gli spettatori con la fantasia dietro l’orizzonte delle Grandi Pianure.