Freddie Mercury – The Great Pretender: recensione del documentario

Il documentario di Rhys Thomas Freddie Mercury – The Great Pretender omaggia l’ermetismo e l’inaccessibilità di Freddie Mercury oltre l’artista attraverso videoclip, interviste, materiali d’archivio e testimonianze. Gettando una luce inedita sul suo duplice progetto da solista e le modalità di gestione della sua vita privata.

Se è vero che la morte dell’artista rimane come sospesa a metà fra la sua tangibile mancanza e la sua eterna eredità estetica di opere immortali, è anche vero che in quella stessa perdita si riversa sempre un dolore collettivo per un potenziale ormai non più esprimibile. Con la morte a soli 45 anni per una broncopolmonite dovuta alle complicanze dalla sua positività all’HIV, Freddie Mercury lasciò un vuoto incolmabile nella musica e nella scena artistica mondiale che ancora oggi fatica a trovare un degno erede della sua compianta e, a quanto pare, insostituibile carismatica personalità. Un uomo sfuggente, un musicista eclettico, un trasformista, un narcisista, un ottimo amico. Il leader dei Queen era tutto e il suo opposto e se ricostruire la sua “persona” – nel senso più anglosassone del termine come maschera pubblica offerta al mondo – è decisamente più facile, rintracciare il Freddie lontano dalla band e dal palco ancora oggi è pressoché impossibile.
Intrecciando materiali d’archivio, concerti, videoclip, interviste e rarissimi video privati il documentario di Rhys Thomas Freddie Mercury: The Great Pretender si pone non tanto l’obiettivo di ripercorrere artisticamente l’ascesa e la portata creativa dei Queen negli anni ma piuttosto quello di far emergere la figura di Mercury a metà degli anni ’80 quando il leader della band sentì l’esigenza di distanziarsi dal resto del gruppo e sperimentare nuove sonorità nella sua prima e unica esperienza da solista. Un percorso indipendente che si concluse con due album Mr. Bad Guy uscito nel 1985 e Barcelona del 1988. Prodotto dalla BBC e dalla Eagle Rock Productions, il film ha vinto un Rose d’Or e un International Emmy Award per aver omaggiato con stima e un pò di innegabile malinconia la vita pubblica e privata di un uomo straordinario.

No Time For Losers. L’imperatore del rock domatore di folle

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Freddie Mercury durante il concerto Live Aid nel 1985

Dal concerto di Rio del 1985 difronte a 300.000 persone, alla folla del concerto evento Live Aid dello stesso anno, Freddie Mercury – The Great Pretender indaga uno degli aspetti più sontuosi del successo di Mercury che risiede nel suo essere frontman, anzi forse il frontman per eccellenza della musica rock. Sul palco Freddie il comunicatore domava le folle, ogni suo gesto diventava monumentale, catalizzando gli occhi e le energie del pubblico in un vero e proprio scambio vitale fra lui, la sua musica e i suoi fan. Sul palco e dietro le telecamere Freddie era (appunto) the great pretender: il grande impostore. Indossando le sue maschere e i suoi travestimenti eccessivi portava on stage la sua parte funambolica per celare quella timidezza e quell’insicurezza sul suo aspetto fisico che, come afferma Brian May nel documentario, apparentemente Freddie non superò nemmeno dopo il successo clamoroso. Nel film Freddie viene raccontato nel suo essere di “individuo formidabile”, appassionato così tanto di balletto che la compagnia di danza del Royal Ballett gli propose una performance coreografica davvero incredibile al London Coliseum il 7 ottobre del ’79. Un momento in cui, finalmente, coronò la sua travolgente passione per la danza e per la performance artistica.

Viva Barcelona. Nel film Freddie Mercury – The Great Pretender si racconta la collaborazione con Montserrat Caballé e l’insuccesso di Mr. Bad Guy

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Freddy Mercury e Montserrat Caballé nel video “Barcelona” del 1988

Nella sua evidente diversità con il resto della band era chiaro sin da subito che oltre il palco e la sala d’incisione fra i quattro Queen c’erano delle insormontabili differenze di stile di vita. Freddie ad esempio era un frequentatore appassionato ed assiduo della lirica (la performance live di Pavarotti per lui fu decisiva) e il suo trasporto per quel tipo di sonorità si riversò in un album del 1988 che segnò un inedito crossover fra il rock e l’opera lirica messa in atto da lui e la soprano spagnola Montserrat Caballé. Il brano Barcelona ebbe un successo clamoroso e la collaborazione fra i due avvenne qualche anno dopo il primo tentativo da solista di Mercury con l’album Mr. Bad Guy del 1985 che non ebbe il risultato sperato. Mr. Bad Guy conteneva comunque brani e collaborazioni con grandi artisti, una su tutti quella con un giovane ma già navigato Michael Jackson. Una collaborazione, quella con Jackson, molto contrastata che si concluse però solo con due misteriosi demo e un’incredibile storia di registrazione in sala cui c’entra, incredibilmente, anche la presenza di un lama.

Love Kills. Farrokh Bulsara, la sessualità e lo stigma sull’AIDS negli anni ’80/’90

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Freddie Mercury e il suo addio ai fan nel video di “Those Are The Days Of Our Lives” del 1991

Non soffermandosi troppo sull’infanzia o gli esordi, il regista (e fan dell’artista) di Freddy Mercury – The Great Pretender, attraverso testimonianze di amici, assistenti personali e manager oltre alla componente prettamente musicale, getta mirabilmente una luce sull’uomo oltre al mito. Elusivo, enigmatico e terrorizzato dall’idea di restare solo nonostante la sua indole da solitario Freddie visse la sua bisessualità con grande libertà. Nonostante il suo eterno legame con l’ex fidanzata Mary Austin, dal 1974 in poi Freddie frequentò la scena dei gay club di New York in cui non nascose la sua promiscuità e la grande importanza che la componente erotica ed edonistica occupava nella sua vita. Una libertà sessuale che comprese anche la droga e l’eccesso a causa di una figura davvero controversa: il manager Paul Prenter connotato come il “partner in crime” di quegli anni e probabile causa della rottura della band.

Con lo scoppio dell’epidemia dell’AIDS nei primi anni ’80 negli Stati Uniti crebbe anche lo stigma e una volta accertato l’esito della sua positività Mercury tenne nascosta la sua condizione. Accanto a lui sino alla sua fine dei suoi giorni il compagno Jim Hutton, i suoi adorati gatti e gli amici più vicini. Dopo la sua morte avvenuta il 24 novembre 1991 venne fuori lo stigma e la vergogna sull’HIV che si diffondevano nei media con la stessa velocità con il quale si diffondeva silente e inarrestabile il virus. Un aspetto che portò Mercury a nascondersi sino all’ultimo. Sino a quelle 24 ore prima del decesso nelle quali, attraverso un comunicato stampa, confermò per la prima volta la sua malattia ai fan.

Regia - 3
Sceneggiatura - 3
Fotografia - 3
Sonoro - 4
Emozione - 3.5

3.3