Noir in Festival 2021 – Fulci Talks: recensione del documentario di Antonietta De Lillo
Il ritratto uncut che Antonietta De Lillo ha dedicato al grande Lucio Fulci. Presentato in anteprima al 30° Noir in Festival e disponibile dal 10 marzo OnDemand su CG Digital e Chili.
Nella vita, così come nell’Arte, si capisce l’importanza di qualcosa o di qualcuno solo quando non c’è più o è lontana. Il più delle volte ce ne accorgiamo tardi e solo il trascorrere delle stagioni restituisce la misura e il valore di quanto abbiamo perso, di quanto cechi siamo stati nel non averlo riconosciuto e vissuto a suo tempo. Nel cinema, ad esempio, quanti registi sono stati (ri)scoperti o rivalutati a distanza di anni dalla loro scomparsa e con essi i film che hanno realizzato nel corso delle rispettive carriere dietro la macchina da presa. Nel mondo e in Italia sono innumerevoli i casi di cineasti bistrattati, accantonati, denigrati, sottovalutati, ripudiati e osteggiati dal pubblico, dagli addetti ai lavori o da quella stessa critica che decenni più avanti tornerà sui propri passi cospargendosi il capo con la cenere. Pensate a tutti coloro che navigavano nell’oceano della dimenticanza, etichettati come registi di serie B o Z, mandati in esilio per poi essere ripescati e riabilitati come autori solo dopo che Quentin Tarantino si era schierato dalla loro parte.
Fulci Talks: una lunga intervista a briglie sciolte per scoprire e riscoprire Lucio Fulci e il suo cinema
Per non parlare poi di tutta quella schiera di cineasti apprezzati più all’estero che nel proprio Paese, laddove hanno potuto contare su schiere di estimatori in grado di vedere oltre le barriere ideologiche, culturali, sociali, politiche e di costume quel tanto da apprezzarne l’operato. È il caso di Lucio Fulci, amato in maniera viscerale in Francia e oltreoceano, quando al contrario in Italia i benpensanti e i pseudo-intelletuali con la puzza sotto il naso e le fette di prosciutto sugli occhi lo avevano confinato ai margini del cinema che conta. Per fortuna c’è chi come Marcello Garofalo e Antonietta De Lillo ne hanno capito il valore e quanto importante il compianto regista romano sia stato per la cinematografia nostrana (e non solo). Quella che possiamo definire lungimiranza li spinse nel giugno del 1993, quattro anni circa prima della sua morte, a registrare una lunga sessione di interviste con lui. Un materiale ora preziosissimo che la De Lillo ha recuperato dall’archivio Megaris e trasformato in un video-ritratto dal titolo Fulci Talks, presentato in anteprima al 30° Noir in Festival (che al cineasta capitolino ha dedicato una piccola retrospettiva) e disponibile dal 10 marzo in TVOD su CG Digital e Chili.
Fulci Talks: un’operazione di found footage per dare nuova vita a materiali pre-esistenti
Inscrivibile solo per comodità nella famiglia allargata del documentario biografico, Fulci Talks tecnicamente, in realtà, sarebbe un’intervista editata e confezionata in cui l’autrice riprende il girato da lei realizzato in occasione di una lunga conversazione avuta con il collega trasteverino poco meno di un trentennio fa. Un’operazione di found footage e rielaborazione che per modus operandi riporta alla mente La pazza della porta accanto, in cui la De Lillo ha rimesso le mani su un dialogo filmato con Alda Merini. Una sorta di film di montaggio insomma, che in entrambi i casi parte da un materiale pre-esistente e grezzo al quale è stata data una forma compiuta, ma soprattutto una nuova vita audiovisiva. Il ché non toglie nulla a Fulci Talks, piuttosto ne aumenta il valore intrinseco, donando al risultato un qualcosa che è strettamente legato al concetto della memoria. Qualcosa attraverso il quale è possibile riportare a galla dal passato, per consegnarlo al presente e al futuro, un rimosso. Qualcosa che assomiglia a un vecchio filmino di famiglia, tirato fuori dalla soffitta impolverata e mostrato a chi vorrà vederlo.
Fulci Talks: un videoritratto dal retrogusto romanticamente vintage e analogico che nemmeno il logorio del tempo ha potuto intaccare
Ora in Fulci Talks la qualità delle immagini e del suono è giocoforza quella che è, con il tempo che ha consumato e logorato i nastri sui quali l’intervista era stata impressa, ma non ha per fortuna cancellato il contenuto. Assemblato e sottoposto a un lavoro di restauro, quel contenuto dal retrogusto romanticamente vintage e analogico, con tanto di sabbiato, pre-roll, flicker e barre colore a scandire la successione dei capitoli, conserva intatta la potenza e l’interesse nel e del detto. Un detto che è il frutto maturo e gustoso dell’inedito, che approda sullo schermo attraverso un flusso orale uncut a velocità sostenuta. Il risultato sono 80 minuti che vorresti non finissero mai, puri e crudi, che restituiscono le due facce della stessa medaglia. Niente immagini esterne come clip di film, niente foto e niente musica di accompagnamento, se non in zona Cesarini quando scorrono i titoli sulle note di Fear and Liberation di Fabio Frizzi.
Fulci Talks: un monologo senza cori e senza freni
Un monologo senza cori (a differenza di operazioni analoghe come Friedkin Uncut), con rarissime interferenze da parte di coloro che gli rivolgevano le domande da dietro le due videocamere incaricate di filmare. Una scelta, questa, per quanto ci riguarda azzeccata, che lascia spazio a un flusso inarrestabile di ricordi e riflessioni a voce alta, senza freni e peli sulla lingua, consegnati e offerti con generosità alla videocamera della De Lillo da un uomo schietto, privo di filtri, schiavo dei vizi e delle passioni, con uno sfrenato amore per il cinema, che non ha remore nel dire e nel puntare il dito, facendo nomi e cognomi. Ma soprattutto un regista di culto, uno sperimentatore che etichettare o circoscrivere a un dato filone sarebbe un errore madornale, proprio perché nella sua vastissima e schizofrenica filmografia ha esplorato e ibridato il ventaglio dei generi, lo stesso dal quale è evaso in più di un’occasione.
Fulci Talks: una conversazione a briglie sciolte in cui il cineasta trasteverino racconta e si racconta, togliendosi più di un sassolino dalle scarpe
In Fulci Talks è lo stesso protagonista a raccontare e a raccontarsi, con l’autrice che lascia volutamente le briglie sciolte. Briglie che nell’immobilità di quegli anni che lo vedevano su una sedia a rotelle, il regista romano raccoglie per poi lanciarsi in una narrazione orale che riempie di parole lo spazio asettico in cui l’intervista fu realizzata. Muri bianchi, una scala sul fondo e l’ombra di Fulci proiettata su una parete fanno da cornice a un’intensa conversazione in cui l’uomo e il regista riavvolgono il nastro per rievocare ciò che è stato. Un’occasione che il protagonista coglie al balzo per ripercorrere in lungo e in largo temi (la morte, il tempo, il dubbio, il peccato) e stilemi del suo cinema, portandoci attraverso succulenti aneddoti nel dietro le quinte di scene e film come Beatrice Cenci o Non si sevizia un paperino, ma anche per togliersi più di un sassolino dalla scarpa. E ciò che resta è un documento da conservare, ma soprattutto una lezione di cinema postuma che vale più di tante altre masterclass dove il regista di turno si loda e si imbroda.