Funny Games: recensione del cult di Michael Haneke
In sala la versione restaurata del thriller austriaco del 1997 diventato un cult che racconta la violenza in maniera radicale e spiazzante
Torna al cinema in versione restaurata l’originale Funny Games di Michael Haneke, thriller cult presentato nel 1997 al Festival di Cannes, del quale nel 2007 è stato realizzato un remake americano diretto dallo stesso regista e interpretato da Naomi Watts, Tim Roth e Michael Pitt. Il film è in sala dall’11 dicembre 2023 con I Wonder classics.
Per Anna (Susanne Lothar), George (Ulrich Mühe) e il loro bambino Georgie la vacanza al lago è il momento per stare in armonia in famiglia, per trascorrere giornate in barca e organizzare cene con gli amici e i vicini. Tutto è in ordine: la casa è pulita, il frigo è pieno, la calma regna sovrana. Finché due ragazzi dai modi gentili non bussano alla loro porta dando inizio da un momento all’altro a una spirale di violenza imprevedibile.
Funny Games – Una tranquilla giornata da incubo
Una calma che diventa presagio del caos totale quella che si respira sin dal prologo di Funny Games, scritto e diretto dal regista austriaco Michael Haneke: i coniugi Anna e George in auto ascoltano musica classica e giocano a scoprire di quale compositore si tratti, inconsapevoli che presto quello stesso giorno saranno costretti a fare dei giochi ben diversi e decisamente crudeli. Un’assordante musica metal extradiegetica interrompe questa armonia accompagnandoci gradualmente in un incubo che sembrerà senza fine. È uno dei punti di forza di questo cult, quello di far immergere lo spettatore completamente nella scena, rendendo a tratti insostenibile la tensione, costruita con grande maestria, in cui la normalità si tramuta presto nell’impensabile. Siamo tranquilli come Anna quando Peter (Frank Giering), un ragazzo paffutello e dall’aria innocua, entra per la prima volta in casa per chiedere delle uova, ma quell’apparente calma nasconde qualcosa di inquietante che non riusciamo a spiegare inizialmente, sono piccoli gesti e atteggiamenti insignificanti a instillare il fastidio e poi il terrore nella mente della protagonista e dello spettatore. Non a caso proprio uno dei due criminali protagonisti, Paul (Arno Frisch), in diversi momenti abbatte la quarta parete rivolgendosi direttamente al pubblico: “Voi cosa ne pensate? Che abbiano una possibilità? Siete dalla loro parte, no? Su chi scommettete?”, ci chiede dopo che insieme al suo complice ha preso in ostaggio l’intera famiglia, rompendo una gamba a George e terrorizzando il piccolo Georgie e Anna.
Un elemento questo che avvalora la tesi, confermata dallo stesso regista, che il film non sia altro che una critica della violenza propinata ogni giorno dai media e dell’interesse morboso che il pubblico riserva a fatti di cronaca nera sempre più spettacolarizzati in tv e suoi giornali. Lo spettatore è invitato a partecipare al gioco, a prenderne parte, empatizzando inevitabilmente per le vittime, così come noi prendiamo posizione sull’ultimo omicidio finito in prima pagina, indignandoci, avanzando ipotesi e giudicando vittime e carnefici. “Perché non ci uccidete subito?”, chiede la donna a Peter, “E l’intrattenimento?”, risponde cinicamente il ragazzo, rendendo in pieno il senso del film, della sete di violenza e di proibito che coinvolge molti di noi. Un tema attuale visto il costante scavare nel torbido a cui continuiamo ad assistere soprattutto dopo i recenti e drammatici femminicidi che hanno avuto una grande eco in tutto il Paese.
Funny Games: valutazione e conclusione
La violenza non è però mai manifesta in questo film che prende un tema classico dell’horror, l’occupazione da parte di criminali di case abitate da coppie o famiglie con conseguenze tragiche, e ne fa un thriller psicologico ansiogeno che gioca di sottrazione sui silenzi, sulle parole, sui particolari su quello che si immagina accadrà presto, sui primi piani dei protagonisti che cambiano, come inizialmente il volto sereno di Anna che diventa poi una maschera dell’orrore in una trasformazione agghiacciante. Il punto di non ritorno arriva all’improvviso, mentre uno dei carnefici si prepara un panino in quella cucina dove tutto era iniziato, dove tutto un tempo è stato tranquillo e pacifico, spiazzante, ingiusto e crudele come solo la vita può essere. Una lezione di cinema quella di Michael Haneke che costruisce la paura e la tensione su un gioco al massacro senza precedenti.
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