Fuori c’è un mondo: la recensione del film con Emanuele Bosi

Nelle sale italiane dal 14 settembre, Fuori c’è un mondo è il terzo film di Giovanni Galletta, con Emanuele Bosi, Giulia Anchisi e Bruno Crucitti.

Gabriele è un giovane scrittore alle prese con un lungo periodo di depressione. A salvarlo da quell’oscuro male di vivere su cui sono state spese pagine e pagine di letteratura, sarà l’incontro fortuito con Lorenzo, un benevolo clochard con il vizio dell’alcool, ma con un grande amore per la vita. Questo in breve l’antefatto di Fuori c’è un mondo di Giovanni Galletta, qui alla sua terza prova come regista, in un film ambizioso per il tipo di messaggio che vorrebbe trasmettere, ma sul quale pesano non pochi difetti strutturali.

Il confronto con un estraneo apparentemente così lontano dal proprio mondo, sarà la scintilla in grado di risvegliare Gabriele (che ha il volto di Emanuele Bosi) dal proprio torpore, riavvicinandolo finalmente al mondo reale. Seguendo le orme del clochard interpretato da Bruno Crucitti, nella tipica dinamica tra mentore e discepolo, la strada del giovane scrittore incrocerà quella di altri personaggi: la figlia di Lorenzo, Valentina, (Giulia Anchisi), accolta sotto l’ala protettiva di Don Daniele (Alberto Tordi), e Arianna (Silvia Quondam), ex prostituta che il prete ha tolto dalla strada.

Fuori c’è un mondo

Procedendo nella visione, tuttavia, la gerarchia che divide i personaggi principali da quelli secondari diventa sempre più difficile da distinguere: quello che in un primo momento poteva sembrare la storia di un giovane scrittore di buona famiglia, diventa ben presto il racconto corale di un gruppo di anime smarrite, una galleria di caratteri che si incontrano e si separano, tutti ugualmente insoddisfatti e alla continua ricerca di qualcosa che non ancora non possiedono. Qualcosa che, banalmente, si identifica con il senso da dare alla propria esistenza. Quello dei cinque protagonisti di Fuori c’è un mondo assume così i contorni di un viaggio spirituale, alla riscoperta di sé, nel tentativo di dare risposta alla domanda: è veramente possibile essere felici?

Fuori c’è un mondo è il terzo lungometraggio di Giovanni Galletta, dal 14 settembre nelle sale italiane

Un tema di fondo che quindi fa del film , nonostante qualche battuta casuale “alla Woody Allen”, insieme a certi risvolti noir della trama, un “dramma” filosofico, nel senso propriamente teatrale del termine. Tutto, infatti, dalla mancanza quasi totale di azione alla lunga serie di dialoghi tra i personaggi, lascia trapelare un’impostazione tipicamente teatrale, che si riverbera persino sulla recitazione degli attori, finendo per conferire a tutta la storia un non so che di artificioso e assai poco aderente a quella stessa realtà cui per tutto il tempo si cerca disperatamente di dare un senso.

Fuori c’è un mondo

I diversi personaggi, infatti, in misura diversa, si troveranno a fare i conti con questo dilemma metafisico, dal clochard finito in strada per colpa di una società corrotta, al sacerdote abbandonato dalla propria fede nel momento in cui comincia a desiderare l’amore di una donna, per arrivare, infine, al giovane scrittore a cui non sembra mancare nulla, salvo forse la capacità di sorprendersi ancora. E una risposta alle molte domande sollevate dal film alla fine viene trovata e appare quasi banale nella sua semplicità: il senso della vita passa attraverso le persone, manifestandosi nell’amore e nella comprensione per l’altro.

Fuori c’è un mondo è un film ambizioso nei contenuti, ma che risente di non pochi difetti strutturali

L’importanza del messaggio e la complessità delle questioni sollevate dalla storia vengono però sminuite da una trama che tende alla ripetitività e inserite come sono all’interno di dialoghi didascalici che nulla lasciano all’immaginazione dello spettatore o all’evidenza delle immagini. Appesantito com’è da una recitazione poco credibile, il film non riesce a riprendersi neanche nei passaggi sottolineati dalle musiche composte da Cris Ciampoli e Mauro Paoluzzi, ridondanti e malinconiche quanto i personaggi stessa. Il terzo lungometraggio di Giovanni Galletta si presenta quindi come un’opera dai buoni propositi, simbolo di un certo modo di fare cinema, consapevole di voler non soltanto intrattenere ma anche far riflettere lo spettatore su tematiche esistenziali certamente difficili da affrontare. Un modo di fare cinema, infine, senz’altro necessario e possibile, ma che, nel caso di Fuori c’è un mondo, sembra aver mancato decisamente il proprio obiettivo.

Fuori c’è un mondo

Regia - 2
Sceneggiatura - 1.5
Fotografia - 2
Recitazione - 1.5
Sonoro - 1.5
Emozione - 2

1.8