Venezia 77 – Gaza Mon Amour: Recensione del film dei fratelli Nasser
Recensione di Gaza Mon Amour, il film dei fratelli Nasser presentato in anteprima al Festival di Venezia 2020.
Quella creata dai fratelli Tarzan e Arab Nasser con Gaza Mon Amour è sostanzialmente una commedia romantica agrodolce (più agro che dolce, a dirla tutta), che ci offre anche un quadro molto particolare della vita in quel piccolo universo che è la Striscia di Gaza.
Protagonista è il solitario e un po’ malinconico Issa (Salim Daw), pescatore che passa le giornate tra pesce, solitudine e le amate sigarette, e con i pochissimi intimi di un’esistenza che però non gli basta, in cui manca l’amore, una compagna, la luce. Quella luce che lui spera di trovare in Siham (Hiam Abbass), sarta che conduce un’esistenza segnata (come quasi tutti a Gaza) da povertà, lutti, incertezza e il duro lavoro malpagato.
Il ritrovamento in fondo al mare di un’antica statua di Apollo da parte di Issa, sarà la molla interiore che lo spingerà ad un impacciato e davvero non semplice corteggiamento, che dovrà fare i conti con parenti indiscreti, una Polizia corrotta e prepotente, ed una città in cui la parola futuro sembra proibita.
Lo sguardo inedito di Gaza Mon Amour
La vita sulla striscia di Gaza, è la vera protagonista di questo film molto intimo, delicato, dove si percepisce l’assedio continuo da parte di una morte e di una violenza che rimane sullo sfondo, nei suoni e nei colori di esplosioni o delle divise di Hamas.
Tuttavia, i fratelli Nasser evitano di scadere nel facile sentimentalismo o nell’elegia della povertà come culla di veri sentimenti. Gaza Mon Amour è un film assolutamente realista, disincantato, desolante nel mostrarci un mondo diviso tra medioevo e modernità, tra disperazione e una monotonia assoluta.
Una monotonia che non è solo lavorativa o relativa alla disperazione di non sapere che sarà del domani, ma riguarda i rapporti umani, le tante piccole o grandi ingiustizie che l’umanità di quell’angolo di Medio Oriente deve sempre sopportare.
I nemici non sono gli israeliani, ma i poliziotti, Hamas, porta stendardo di corruzione, prepotenza, vigliaccheria, a cui si contrappongono i sogni e le ambizioni del cocciuto protagonista.
Storia di un pescatore di sogni
A fronte di tanti ritratti femminili che il cinema ci ha donato negli ultimi anni, e nei quali la tematica della solitudine (o della singletudine, se si vuole) anche per chi è nella mezza età era protagonista, è bello vedere per una volta l’altro punto di vista.
Salim Daw fa del suo Issa, pescatore povero ma orgoglioso, un piccolo Don Chisciotte della vita e dei sentimenti, un uomo a cui la sua condizione di povero e di solitario per sorte e non per natura, non proibisce di riscoprire la volontà di donarsi, di sognare l’amore e di cercarlo con tutte le sue forze. La statua, quella statua di Apollo, assurge a simbolo di perfezione fisica, ricordo di una gioventù perduta nel corpo ma non nel cuore, totem di una sessualità la cui espressione appare continuamente mortificata e limitata da una religiosità ipocrita, da una società ossessiva e violenta verso il diverso, il non allineato.
Gaza Mon Amour in questo è sicuramente anche un elogio del diverso ed una condanna ad una società, quella palestinese, che negli ultimi anni si è sempre più legata ad una visione arcaica della società e della donna.
Gaza Mon Amour offre molte risate, in momenti sovente inaspettati, non insegue mai un umorismo di parodia ma le piccole goffaggini e assurdità della vita quotidiana, porta al centro dell’iter narrativo la dimensione del sogno come riscatto dalla realtà. Tuttavia, alla fine degli 88 minuti rimane sicuramente molto amaro in bocca, ma anche una grande gratitudine per il non aver mai fatto scadere il tutto nel patetico, nell’idilliaco, nell’eccessivo, grazie ad una sceneggiatura misurata, ad una regia che fa delle case dei piccoli universi narrativi a parte.
Non un capolavoro, sia chiaro, il ritmo non subisce mai grandi variazioni, ed alcuni personaggi potevano essere approfonditi meglio, ma è un film onesto, tenero, e che rivendica un messaggio di semplicità come reale rappresentazione dell’animo umano, dei desideri più semplici che sono anche quelli più importanti.