Gelsomina Verde: recensione del film di Massimiliano Pacifico
Gelsomina Verde è un film imperfetto nella forma, ma coraggioso e scomodo nel suo atto di denuncia.
Napoli, 21 novembre 2004. Gelsomina Verde viene sequestrata, torturata e uccisa dalla camorra. L’auto, con all’interno il suo corpo, viene data alle fiamme. È il centoquattordicesimo omicidio da parte dell’organizzazione criminale di quell’anno. Siamo nel pieno della prima faida di Scampia, e la ragazza aveva solo ventidue anni. La sua colpa? Aver frequentato in passato Gennaro Notturno, un killer noto come “o Sarracino”. Lo stato, per tale motivo, non le ha mai confermato lo status di vittima innocente. Qualche bacio e una carezza l’hanno uccisa due volte, prima dalla camorra e in seguito dalle istituzioni. “Lo stato non le ha perdonato qualche ora d’amore sbagliata. Anche se l’amore in fondo non è mai sbagliato”.
La storia di Gelsomina Verde è contornata da strati di ambiguità processuali, tradimenti da parte di amici e di color che aiutava. Le persone si sono fatte giudice, giuria e boia, e il loro dito è rimasto puntato verso una famiglia accusata sua volta. Questa è la premessa che vive dietro al film Gelsomina Verde, nato dall’incontro tra il produttore Gianluca Arcopinto e Francesco Verde, fratello di Gelsomina. L’opera, come dichiarato, è un atto politico, di denuncia, un modo di portare il dibattitto nelle piazze del paese; non solo per Gelsomina, ma per tutte le vittime innocenti. E quando si parla di vittime di intendono anche i familiari, il cui dolore non finirà mai. La pandemia ha stroncato la possibilità di portare il film nei cinema, nelle arene e agli eventi. Eppure, Gelsomina Verde esce lo stesso il 29 aprile 2021, sula piattaforma dei cinema indipendenti e senza editore 1895.
La storia di Gelsomina Verde, tra immagini di repertorio e teatro, interviste e didascalie
Gelsomina Verde è un film complesso, sul piano della forma quanto del contenuto. Il regista Massimiliano Pacifico scegli la via dell’ibrido, un mix tra documentario e finzione. La storia centrale è quella della compagnia teatrale diretta da Davide Iodice, che prepara lo spettacolo su Gelsomina. Gli attori improvvisano le loro battute in quelle che sono riprese uniche. A loro si alternano immagini di repertorio, didascalie su sfondo nero e il racconto di Francesco Verde. Tutti questi elementi si fondono in un racconto che vuole andare oltre, e parlare della situazione di Napoli, delle Vele e di Scampia. Di come non esista bianco o nero, ma sfumature infinite di grigio, e di come la “verità” sia un concetto effimero: la verità di chi?
Il film, tentando una strada difficile si perde nei suoi vari contenuti. Il montaggio non li tiene in piedi in modo fluido, andando così a influire sulla sua totalità. Per fortuna la recitazione riesce ad ovviare il problema, arrivando al cuore del discorso. Le parole, il peso di quelle parole, è un pugno nello stomaco. La ricostruzione teatrale sullo schermo sembra essere uno scheletro, da cui poi la nostra mente ricrea la cruda vicenda. Maddalena Stornaiuolo, che interpreta Gelsomina, è il volto che apre e chiude il film con un monologo profondo e d’impatto. La camera sporca e fissa ne accentuano la portata.
Un film scomodo e imperfetto a cui va il merito della denuncia
Come dicevamo, Gelsomina Verde è un film imperfetto, come uno disco rigato che salta le note. Eppure, non è questo che conta, ma il coraggio, la forza di portare sullo schermo questa storia. Un film per non dimenticare. Un film che dà voce a coloro a cui è stata tolta. Un film che spazzi via il velo della negligenza. È questa la portata di Gelsomina Verde, e non le sue singole parti. “La verità è che è colpevole l’ignoranza, il silenzio, il dolore. È colpevole chi si ricorda, ed anche chi fa finta di niente. È colpevole chi strilla. È colpevole chi resta ed anche chi se ne va”. Queste le parole di Francesco Verde, pronunciate con dolore e rabbia; il momento più forte del film.
Fin dalle sue prime battute, Gelsomina Verde delinea il suo status di film politico. Il tutto ha inizio con uno sfondo nero, mentre i titoli di testa bianchi si presentano silenziosi per due minuti. Il dramma non ha bisogno di musica ad enfatizzarne la portata, ed è tal proposito che anche le immagini di repertorio rimangono silenti. Un’Antigone rovesciata, dice Davide Iodice, ma anche ciò che più di goni altra parola definisce il film: “un progetto scomodo”. La memoria martoriata di una ragazza di soli ventidue anni e della sua famiglia. A Gelsomina Verde va il merito di raccontare una storia scomoda, al di là di qualsiasi imperfezione.