Gemma Bovery: recensione
Gemma Bovery rappresenta l’ennesima conferma del fatto che i francesi sanno fare Cinema: se dovessimo pensare in astratto all’ultima pellicola di Anne Fontaine la immagineremmo come una piccola, preziosa bomboniera ben confezionata e con un amore particolare per i dettagli.
Tratto dall’omonima graphic novel di Posy Simmonds, Gemma Bovery racconta la storia di un uomo di mezza età alle prese con la nostalgia e le sue fantasie: intellettuale parigino in decadenza, Martin (Fabrice Luchini) vive la sue seconda occasione trasferendosi in una paesino della Normandia e rilevando la panetteria del padre. Qui, insieme alla moglie ed allo scapestrato figlio adolescente, sembra trovare una sorta di pace dei sensi, immerso nel rituale estraniante e poetico del “fare il pane”, un’attività sulla quale l’uomo sfoga la frustrazione del dover tenere a freno la sua fervida ed instancabile immaginazione.
Appassionato da sempre di grandi classici della letteratura, la vita di Martin viene sconvolta dall’arrivo di una coppia di inglesi, nuovi vicini di casa: Gemma e Charles Bovery (Gemma Arterton e Jason Flemyng). L’assonanza con il nome dell’eroina del capolavoro di Flaubert (Emma di Madame Bovary) crea un collegamento immediato e l’uomo, “tradito” ed istigato dalla sensualità prororompente della nuova arrivata, non riesce a fare a meno di tessere sulla coppia le vicende della sfortunata protagonista del romanzo, la cui ricerca di un ideale sentimentale fu causa della sua tragica fine.
Inizia così un gioco di letture forzate di espressioni e linguaggio del corpo, facilitate dalla bellezza e sensualità della ragazza che, però, a dispetto delle fantasie di Martin, non sembra vivere la noia deprimendosi come Madame Bovary ma, al contrario, ha scelto di vivere la sua vita inseguendo il piacere ed adattandosi con disinvoltura alle conseguenze delle proprie decisioni…
La forza di questa commedia potenzialmente drammatica è proprio il tono con il quale la vicenda viene raccontata: il focus non è sulla vita della bella Gemma ma sulla fantasia fuori controllo e comicamente patetica del buon vecchio Martin che, deciso ad indossare i panni di “regista visionario”, ha la pretesa di sapere tutto quello che succederà e si prodiga disperatamente per salvare la donna dal suo ineluttabile destino. E se non bastassero la faccia “imbambolata” e l’impaccio di uno strepitoso Luchini a rendere lo spettatore costantemente consapevole dell’enorme equivoco al quale l’uomo sta andando incontro, centrale è il ruolo della moglie Valérie (Isabelle Candelier) che, rassegnata a convivere con le stravaganze intellettuali del marito, tenta pazientemente (e senza alcun successo) di tenerlo a bada, come si farebbe con un bambino.
Gemma Bovery impiega circa metà della pellicola a gettare le premesse di ciò che succederà, innalzando nella seconda parte la posta in gioco attraverso la dimostrazione di come intrufolarsi nelle vite degli altri non sia mai una buona idea ma provochi sempre conseguenze imprevedibili.
Altro elemento fondamentale, il tema dell’apparenza, del quale l’intero film è permeato e che porta i protagonisti, a seconda del punto di vista assunto, a maturare opinioni eterogenee e quasi mai azzeccate sugli eventi: una sorta di avvertimento per lo spettatore a non fidarsi, sino alla fine, delle verità mostrate dai suoi occhi ed un tacito rimprovero registico per Martin, colpevole di non aver applicato alcuno spirito critico ai suggerimenti perversi della propria immaginazione.
La sceneggiatura, scritta dalla regista insieme a Pascal Bonitzer e Posy Simmonds, sostiene perfettamente le intenzioni della narrazione, non risparmiando momenti di puro divertimento e permeando l’intera pellicola di un sottile ed ironico humor alla Woody Allen.
Splendida la fotografia, che alterna la sfacciata bellezza ed i colori vivaci dei paesaggi della Normandia a ritratti della bellissima Gemma che sembrano uscire da opere pittoriche dell’epoca flaubertiana; l’uso della luce, in particolare, sottolinea con discrezione ed estrema efficacia le espressioni dei protagonisti, donando alla pellicola un’aura letteraria di delicato gusto retrò.
A coronare il tutto, una regia dal sapore teatrale che fa di Gemma Bovery una commedia sui sentimenti umani in cui la camera non invade mai troppo lo spazio dei protagonisti, dando allo spettatore il distacco necessario per valutare la storia nel suo insieme e non subire lo stesso inganno di cui Martin è stato vittima.
Gemma Bovery, reduce dalla selezione ufficiale al Toronto Film Festival ed al nostrano Torino Film Festival, arriverà nelle sale italiane il 29 gennaio, distribuito da Officine Ubu.