Ghost Detainee – Il caso Abu Omar: recensione del docufilm
La recensione del docufilm di Flavia Triggiani e Marina Loi sul rapimento nel 2003 dell’Imam milanese Abu Omar. Nelle sale dal 5 febbraio 2024.
Fin dove può spingersi uno stato democratico? Dove si può arrivare in nome della “ragion di Stato”? A queste domande provano a dare delle risposte Flavia Triggiani e Marina Loi che con la loro nuova fatica dietro la macchina da presa tornano a togliere la polvere sotto il tappeto, affondando le mani in questioni spinose e scomode dalle quali si preferisce stare alla larga come ad esempio il rapimento nel 2003 dell’Imam milanese Abu Omar. Materia, questa, decisamente scottante e scivolosa, dal livello di pericolosità piuttosto elevato dato il peso specifico di una vicenda che vede per la prima volta nella storia un sequestro di Stato operato dalla CIA finire al centro di un’indagine della magistratura di un Paese alleato. L’Italia per la precisione. La stessa materia che nonostante siano trascorsi più di vent’anni dai fatti in questione continua ad essere ancora incandescente, tanto da spingere le registe a scrivere e dirigere (con la collaborazione del giornalista Luca Fazzo) il docufilm Ghost Detainee – Il caso Abu Omar, nelle sale dal 5 febbraio 2024 con ILBE in attesa della messa in onda primaverile su La7.
Ghost Detainee – Il caso Abu Omar è caratterizzato da un approccio “rapace” da giornalismo d’inchiesta vecchia scuola
Indipendentemente dal risultato ottenuto, prima di inoltrarci nell’analisi critica dell’operato delle autrice, va riconosciuto quantomeno alle autrici il coraggio e l’annessa capacità di affrontare senza timori reverenziali un progetto dal coefficiente di difficolta molto alto, incentrato su un argomento tutt’altro che facile da trattare, così come era stato in precedenza per Lady Gucci – La storia di Patrizia Reggiani e Il branco: l’omicidio di Desirée Piovanelli. Lo hanno fatto ancora una volta con i mezzi messi a disposizione dall’audiovisivo e più di prima con un approccio “rapace” da giornalismo d’inchiesta vecchia scuola che le ha portate a ripercorrere il rapimento e il successivo percorso giudiziario attraverso interviste esclusive, realizzate tra Italia, Stati Uniti ed Egitto. Ed è su quest’asse che si muove il docufilm di Triggiani e Loi, che riassume i fatti mettendo insieme i pezzi di un intricatissimo e cervellotico puzzle al fine di restituire a pubblico di turno un quadro generale ed esaustivo di quanto accaduto da quel 17 febbraio 2003, le cui dinamiche nel dettaglio le rimandiamo alla visione.
Un docufilm che ripercorre gli eventi in maniera oggettiva ed equilibrata
Ghost Detainee – Il caso Abu Omar le ripercorre in maniera oggettiva ed equilibrata, rifiutando a priori tesi precostituite e cercando di rappresentare tutte le opinioni per far sì che il singolo spettatore si faccia una propria idea in modo autonomo. Nel documentario sono infatti i principali protagonisti a tenere le fila del discorso attraverso le loro “verità”, facendo luce sulle tante domande che ancora aleggiano sul caso. Domande che sollevano ulteriori interrogativi e spunti di riflessione rispetto a quelli già citati su tematiche ancora attuali: fin dove è lecito spingersi nella lotta al terrorismo? La “ragion di Stato” può portare a chiudere gli occhi davanti a violazioni della legge? E infatti nel corso della timeline gli orizzonti del racconto si allargano a vista d’occhio entrando a gamba tesa sull’11 settembre, la lotta al terrorismo post attentati, i metodi messi in atto dalle Intelligence per combatterlo e il segreto di Stato. Il tutto per rendere ancora più corposo e stratificato il tessuto narrativo di un’opera che, mantenendo saldamente l’ossatura documentaristica, si tinge delle sfumature del cinema di genere, spaziando dalla spy story al legal. Il ché rende il racconto incalzante e coinvolgente.
Le registe cuciono, con il contributo determinante di un montaggio puntuale e dal ritmo serrato, una narrazione fitta come una ragnatela
Le registe cuciono, con il contributo determinante di un montaggio puntuale e dal ritmo serrato, una narrazione fitta come una ragnatela nella quale si intrecciano i due blocchi principali: da una parte le interviste ai protagonisti dei fatti, dallo stesso Abu Omar, che oggi vive ad Alessandria d’Egitto, a sua moglie Nabila Ghali, da Armando Spataro, attualmente docente di Politiche dell’intelligence all’Università di Milano fino a giornalisti quali Carlo Bonini di “La Repubblica” e Matthew Cole di NBC News, che li hanno seguiti nel loro svolgersi. La presenza poi di figure come quella di Nicolò Pollari, all’epoca direttore del SISMI, permette di portare sullo schermo ciò che in progetti simili viene spesso meno per scelta o per impedimenti, vale a dire il contraddittorio. Torniamo così alla capacità delle autrici di non schierarsi e di restare neutrali, che resta per quanto ci riguarda uno dei punti di forza che consente al docufilm di concentrasi sulla cronaca senza alcun pregiudizio. Dall’altra parte ci sono delle ricostruzioni di fiction dalla messa in scena credibile, ma in alcuni casi didascaliche e un po’ troppo televisive nella resa, attraverso le quali si provano a visualizzare ed enfatizzare alcuni fasi. Il tutto integrato da repertori di telegiornali, materiali fotografici e numerosi estratti di articoli cartacei per accompagnare e arricchire di informazioni un’operazione dalla confezione classica, che strizza l’occhio a quelle made in USA in stile Alex Gibney o Charles H. Ferguson.
Ghost Detainee – Il caso Abu Omar: valutazione e conclusione
Un documentario dal taglio giornalistico vecchia scuola nel senso positivo del termine e dal piglio “rapace” che strizza l’occhio ai prodotti d’inchiesta d’oltreoceano per portare sullo schermo una vicenda scomoda e controversa. Senza timori reverenziali, con assoluta neutralità e dando vita a un interessante contraddittorio tra le parti chiamate in causa, a cominciare dal protagonista Abu Omar, le autrici mettono in ordine i pezzi di un puzzle intricato per restituire il quadro generale di una storia che ha lasciato il segno. La confezione è classica nella forma e nel modo di veicolare i contenuti, con il montaggio che riesce a mettere in fila e rendere chiaro l’intero racconto.